Con Berlusconi non si può mai dire: la tempra dell'uomo è proverbiale, le capacità di ripresa sorprendenti. Ma il pedaggio dell'età fa pochi sconti, la malattia stavolta è seria, la famiglia insisteva già da un pezzo per una assai maggiore cautela. Insomma è molto difficile che Berlusconi possa riassumere sul serio il ruolo di leader del partito azzurro e la sua assenza, o almeno una sua ben minore presenza, incideranno sugli equilibri della destra italiana in modi al momento imprevedibili, anche se negli stati maggiori dei tre partiti della maggioranza già abbondano previsioni e conseguenti strategie.

Il peso specifico di Silvio Berlusconi va molto oltre l'attuale forza del suo partito, un tempo dominante ma oggi parente povero quanto a voti sonanti. Ma il Cavaliere non è solo il leader di Fi: è il fondatore della destra oggi al governo e da trent'anni centrale nella vita politica italiana, che senza di lui non esisterebbe o sarebbe tutta diversa. La sua uscita di scena politica, soprattutto se dovesse essere repentina e non progressiva come lo stesso Berlusconi, dal suo letto d'ospedale, mira a renderla, altererà sensibilmente gli equilibri nella maggioranza.

A palazzo Chigi non si preoccupano affatto della scossa imminente. Il percorso governista è tracciato. Il delfino, Antonio Tajani, non se ne scosterà, anzi lo stato maggiore della premier ritiene che proseguirà su quella strada con determinazione anche maggiore. Una scissione non sembra possibile, dal momento che nessuno oggi seguirebbe i ribelli in pectore, Licia Ronzulli e Giorgio Mulè. La stessa conta delle prossime europee viene interpretata più come un'occasione che come un rischio: la posta in gioco sarà l'allargamento a destra della maggioranza nell'Europarlamento se non addirittura un drastico cambio di maggioranza. L'alleanza tra i Popolari, di cui Fi fa parte, e i Conservatori, dei quali Meloni è presidente, terrà banco. La spinta europea, insomma rafforzerà l'alleanza FdI-Fi e nel partito azzurro la tendenza favorevole a difendere il governo senza provocare grattacapi.

Per la verità, sia pur a mezza bocca, gli umori che trapelano da Chigi registrano più sollievo che preoccupazione. Proprio per il suo ruolo storico e l'impareggiabile notorietà nel mondo le parole del leader di Fi vengono amplificate ovunque anche più di quelle della premier e le sue posizioni sulla guerra in Ucraina sono una spina nel fianco sia per l'inquilina di Chigi che per un Ppe apertamente imbarazzato. Insomma, se quella voce diventa più flebile è tanto di guadagnato senza contare che la nuova leader della destra sopporta con aperto fastidio l'ombra a volte soverchiante del padre fondatore.

In buona parte, ovviamente al netto del sollievo per le posizioni sull'Ucraina, la visione del gruppo dirigente forzista coincide con quella rosea di Chigi. Le cose però sono probabilmente meno semplici e lo sa bene un dirigente di FdI con un passato in Fi come il capo dei senatori Malan, che non a caso si dice infatti molto meno tranquillo. Per una porzione limitata ma non insignificante di elettorato Berlusconi è una garanzia, anzi la garanzia di una presenza moderata e stabilizzante nella maggioranza. Sono elettori più berlusconiani che “di destra” e a nord potrebbero facilmente essere attratti più dal Terzo Polo o da una Lega tornata a qualificarsi come “partito del nord” che da Tajani, che di carisma non ne ha da vendere, fallisse nel tentativo di mantenere almeno il grosso del residuo elettorato azzurro.

Inoltre, Berlusconi esercita una funzione di equilibrio tra i due principali contendenti nella destra, Salvini e Meloni, non solo in virtù del proprio ruolo storico e del suo passato ma anche perché si muove su un terreno diverso da quello degli altri, non direttamente competitivo sul piano delle politiche di destra più radicali. È molto dubbio che Tajani possa ricoprire anche solo in parte lo stesso ruolo. «Gli elettori di Fi? Non c'è problema: verranno da noi», commentano dagli spalti di FdI. È possibile, certo. È anche possibile che le cose predano tutt'altra piega però.