Stefano Ceccanti, costituzionalista e parlamentare dem, liquida la proposta del ministro leghista Giancarlo Giorgetti di un semipresidenzialismo de facto con Draghi al Colle come «una sentenza suicida», spiega che «la sua proposta capovolge l’ordine delle cose» e che «chi ha un giudizio positivo sull’attuale quadro politico di sostanziale unità nazionale dovrebbe puntare ad una conferma nei loro ruoli attuali sia di Draghi sia di Mattarella».

Onorevole Ceccanti, reputa concreta la possibilità che Draghi continui a «guidare il convoglio» anche dal Quirinale come ipotizzato da Giorgetti?

Lo spostamento di Draghi al Quirinale è stato proposto sin qui senza dare risposte soddisfacenti alla domanda su chi guiderebbe il governo. A me quella di Giorgetti è apparsa come una “sentenza suicida”, ossia, lo dico per i non addetti ai lavori, quella di un estensore in un collegio giudicante che non ne condivide l’esito e che la scrive in modo che poi cada nei passaggi successivi. Penso che in realtà anche Giorgetti sappia che è preferibile lasciare Draghi a Palazzo Chigi.

Cerchiamo di fare chiarezza tra i lettori: quali sono le principali differenze tra parlamentarismo, semipresidenzialismo e presidenzialismo?

Lasciamo perdere il presidenzialismo americano, mai imitato in Europa perché sopprimere il rapporto fiduciario e autonomizzare legislativo ed esecutivo porta a paralisi decisionale. Concentriamoci dunque sull’unico semipresidenzialismo comparabile, quello francese, perché solo la Francia ha una dimensione comparabile all’Italia. La questione in sé, in termini di diritto, non di fatto, è sempre stata seria e discussa. La nostra forma di governo, nel suo rapporto maggioranza- governo, è molto fragile e funziona spesso con un correttivo presidenziale, insomma con un semipresidenzialismo di fatto già esistente.

Ci sono punti di caduta?

Delle due l’una: o si trovano i rimedi per far funzionare meglio il rapporto maggioranza- governo prevedendo il correttivo di cui sopra, o si pone il problema del passaggio all’elezione diretta per far poggiare il governo più sul lato del rapporto col presidente. Il sistema francese elegge prima il presidente e poi modella su di lui la maggioranza parlamentare, eletta con un sistema analogo poche settimane dopo.

In che modo pesi e contrappesi del nostro ordinamento limitano i poteri del capo dello Stato per evitare che guidi con troppa autorevolezza il convoglio e quali poteri invece il presidente della Repubblica ha per far valere la sua carica?

Il correttivo presidenziale può funzionare grazie al potere di nomina del governo previsto dall’articolo 92 ( mentre nelle altre Repubbliche parlamentari fino al voto del Parlamento si designa un candidato alla guida del governo) e al potere di scioglimento delle Camere dell’articolo 88. Però questi poteri sono utilizzati in modo pieno solo se la maggioranza ha seri problemi. Altrimenti è la maggioranza che esprime chi guida il governo e se resta solida le Camere non si sciolgono.

Ci sono altri aspetti che renderebbe difficile il meccanismo pensato da Giorgetti?

Il punto chiave è che in molti casi il governo non è comunque surrogabile. Ai Consigli europei ci va il presidente del Consiglio. Sarebbe complicato stabilire che ci va l’inquilino del Quirinale perché salterebbe il meccanismo di coinvolgimento del Parlamento: a chi sta a Chigi si può chiedere di andare prima dei Consigli in Parlamento, a chi sta al Quirinale no.

L’articolo 84 della Costituzione afferma inoltre che «l’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica». Per validare la proposta di Giorgetti servirebbe dunque una modifica della Carta?

Lui sembra aver proposto di farlo di fatto, non per modifica formale. Ma la sua proposta capovolge l’ordine delle cose: un conto è se, come oggi, il rapporto maggioranza governo entra in crisi e quindi si apre dopo la fisarmonica dei poteri presidenziali; un altro è eleggere un presidente con il mandato di aprirla da subito. Se si ritiene che il sistema fatalmente funzioni solo con questo correttivo bisognerebbe modificare la seconda parte della Costituzione inserendo l’elezione diretta, la durata quinquennale, il tetto di due mandati, la precedenza delle elezioni presidenziali su quelle parlamentari, oltre alla modifica del sistema elettorale con doppio turno di collegio. Mi sembra non realistico in fine legislatura, quando invece dovremmo anzitutto stabilizzare il governo in carica.

Obiettivo che alcuni dicono di voler raggiungere con l’elezione di Draghi al Quirinale ma senza elezioni anticipate e quindi con un ministro di sua fiducia come Daniele Franco a palazzo Chigi. È un’ipotesi sul tavolo?

No, perché nessuno è in grado di garantire a priori che la maggioranza resta coesa.

C’è anche l’ipotesi Berlusconi, che potrebbe realizzarsi dalla quarta votazione in poi. Pensa che dopo la confusione sul ddl Zan possa verificarsi uno scenario del genere?

A me non sembra affatto realistica né questa né altre ipotesi opposte di un presidente votato solo dal centrosinistra, ma soprattutto non sono ipotesi auspicabili. Chi ha un giudizio positivo sull’attuale quadro politica di sostanziale unità nazionale dovrebbe puntare ad una conferma nei loro ruoli attuali sia di Draghi sia di Mattarella. Candidature, obiettivamente divisive, anche di schieramenti opposti, qualora avessero successo, destabilizzerebbero il governo. Per questo occorre chiedere un sacrificio al presidente Mattarella. Anche se, ovviamente, non si può mettere un limite temporale alla sua rielezione, visto che non esistono le scadenze anticipate dei presidenti.