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LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI
Il ministro Sangiuliano ha deciso di resistere, ma resta la possibilità che le prime dimissioni che l'opposizione riuscirà a strappare dipendano dal caso meno grave tra gli innumerevoli scandali veri o presunti per i quali negli ultimi due anni è stata invocata la fuoriuscita di questo o quell'esponente della maggioranza.
La vicenda che rischia forte di tirare a fondo il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano è risibile se paragonata alle inchieste che imporrebbero davvero l'uscita dal governo di Daniela Santanchè, che invece resiste ineffabile con la complicità della premier, ma anche se la si confronta con l'incidente serio in cui incorse il sottosegretario alla Giustizia Delmastro. Non sembrano esserci neppure risvolti legali nel caso della influencer e non si capisce bene cosa altro sia Maria Rosaria Boccia.
Se la vicenda, inevitabilmente sospetta di versanti boccacceschi, affosserà Sangiuliano sarà solo per la sua peraltro già leggendaria goffagine e inettitudine. Continuando a negare l'innegabile e a fornire ricostruzioni incredibili puntualmente demolite si è reso più o meno indifendibile da solo.
La premier, nella sua prima intervista post-estiva, lo aveva difeso impugnando due argomenti: il mancato accesso della consulente a dossier riservati e l'assicurazione del ministro, poi ribadita da lui stesso, di non aver mai speso un euro per lei. La prima affermazione è stata smentita dalla diretta interessata a stretto giro e documenti alla mano (dei quali però non ha mostrato il testo). Sulla seconda Boccia sostiene di aver invece ricevuto rimborsi ed è difficile credere che si sia data da fare per il ministero della Cultura sempre a proprie spese: la richiesta di chiarimenti dell'opposizione è dunque perfettamente giustificata. Dati anche le precedenti topiche del ministro non è affatto escluso che stavolta la premier finisca per cedere e spingerlo verso la porta, anche se nell'incontro di ieri gli ha rinnovato la fiducia, anche se subordinata ai futuri sviluppi.
E' un passo che Meloni vorrebbe evitare, un po' perché per principio e per carattere difende sempre e comunque la sua squadra, un po', anzi molto, perché è consapevole di quanto fragile sa l'architettura del governo e teme che spostare anche una sola casella avvii quel processo che va sotto il nome di “rimpasto” e che lei giustamente teme come un letale virus. Preferirebbe di molto aspettare l'anno prossimo, con la probabile candidatura del ministro alla guida della Campania. Sarebbe stata l'occasione perfetta per sostituirlo, probabilmente con l'attuale presidente del MAXI Alessandro Giuli, senza scossoni di sorta. Forse ci proverà lo stesso, più probabilmente per una volta si arrenderà.
E' però discutibile che l'opposizione abbia fondati motivi per cantare vittoria come, nel caso si arrivasse davvero a dimissioni, certamente sarà. Dall'inizio della legislatura la richiesta di dimissioni è l'attività prediletta dell'opposizione. C'è anche la campagna sull'autonomia differenziata, è vero, ma solo per la possibilità di referendum. Se il quesito non sarà ammesso, quella campagna si sgonfierà subito, come quella, altrettanto giusta, sul salario minimo. Non è solo responsabilità dell'opposizione. E' anche che aver reso del tutto marginale il Parlamento, come hanno fatto tutti e sempre di più, rende difficile un'opposizione che non si limiti a invocare compulsivamente dimissioni.
Quando questa riduzione della politica d'opposizione alla richiesta permanente di dimissioni si somma alla già avviata mediatizzazione dello scontro politico, il risultato è una ricerca parossistica dello scandalo che qualche volta colpisce nel segno ma molto più spesso crea casi dal nulla e così facendo imbarbarisce un confronto politico che proprio non ne avrebbe bisogno.
Gli esempi di questa estate parlano da soli: il divorzio di Arianna Meloni dal ministro Lollobrigida è stato promosso, non si sa come né perché a vicenda politica con risvolti poco chiari, intorno alle vacanze della premier si è creato un caso dal momento che la medesima, nella comprensibile ricerca di alcuni giorni di privacy, ha evitato di informare la stampa su dove si trovava, in base a un presunto obbligo letteralmente incomprensibile. Lo stesso caso Sangiuliano, senza gli interventi autolesionisti dello stesso ministro, sarebbe stato ben poca cosa. Perché nella caccia allo scandalo purchessia è forte il rischio che a pagare non siano i più coinvolti in vicende oscure ma i meno capaci di muoversi con accortezza e astuzia.