Forse un sussulto di coscienza ha deviato la storia dalla parte giusta, davvero al fotofinish, davvero per un niente. Fatto sta che il Parlamento europeo ha respinto per un solo voto su 728 (306 a 305 con 17 astensioni) la richiesta, avanzata dalle autorità ungheresi, di revoca dell’immunità per Ilaria Salis.

Un solo voto, che scatena l’incredibile, sconcertante furia di Matteo Salvini contro Forza Italia, indiziata di aver avuto appunto uno scatto di dignità e di aver così dirottato qualche “scheda” verso lo scudo per la parlamentare di Avs, altrimenti destinata al “trattamento giudiziario speciale” targato Victor Orban. «Salva grazie a qualcuno che si dice di centrodestra», scandisce Salvini, come se essere di centrodestra volesse dire infischiarsene dello Stato di diritto.

Ma in effetti l’indifferenza ai ruspanti metodi della giustizia danubiana ha contagiato non solo i “Patrioti” ai quali aderisce il Carroccio ed “Ecr” di cui fa parte FdI, ma anche gli eurodeputati di mezzo Ppe. Ed è davvero incredibile che la delegazione italiana all’Eurocamera abbia argomentato la scelta ufficiale, votare contro l’immunità, in nome della «separazione dei poteri, perché devono essere i magistrati a valutare la sussistenza dei reati». Incredibile e comico, se non ci fosse anche il dramma dei una gravissima incoerenza, se si pensa che alla Camera dei deputati italiana ci si prepara, e giustissimamente, a impedire che siano i magistrati a decidere sul destino di Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovani per il caso Almasri.

A Roma, per fortuna, il centrodestra, Lega in primis, si ricorda dei costituenti e del loro vecchio articolo 68, ma l’aria di Strasburgo produce irresistibili amnesie. Fatto sta che il Parlamento Ue dice no a Budapest. Salis esulta e inneggia alla «vittoria per la democrazia, lo stato di diritto e l’antifascismo». Antonio Tajani replica al collega vicepremier e ministro delle Infrastrutture: «Le calunnie e gli insulti non li accettiamo. Non c’è nessuno che tradisce o fa giochi strani. A scrutinio segreto ci sono 700 e più parlamentari che votano...». Sarebbe stato ancora meglio se il segretario di FI avesse rivendicato il merito del dissenso, ma tutto sommato va bene anche così. Certo, sulla conta che evita la consegna di Salis alle accigliate, diciamo così, toghe e forze dell’ordine ungheresi, si scatena un rimpallo di accuse anche nelle delegazioni a Strasburgo.

Il capogruppo di FI Fulvio Martusciello ribalta le contumelie salviniane: «Basta guardare i 22 fantasmi che, assenti al voto, sono ricomparsi dieci secondi dopo per comprendere di quali partiti siano i cosiddetti franchi tiratori: i patrioti guardino le loro assenze e le loro improvvise presenze». Un altro eurodeputato azzurro, Flavio Tosi, è ancora più esplicito: «Nel gruppo dei Patrioti mancavano ben 15 deputati su 84, incluso un italiano». Ed è così: si tratta del leghista molisano Aldo Patriciello, che però è stato bloccato da motivi di salute, come dicono inviperite fonti leghiste: «Anziché speculare sui nostri deputati, facciano i conti con i loro traditori».

Anche più spiazzanti restano però le argomentazioni di diversi parlamentari Ue di Lega e FdI, secondo i quali «le procedure contro l’Ungheria sono aperte per altre infrazioni, ma quelle sulla giustizia risultano chiuse». Insomma: per meloniani e salviniani lo Stato di diritto a Budapest è in una botte di ferro. Come no. Come se non fossero negli occhi di tutti le immagini dell’eurodeputata di Avs incatenata in Tribunale come una bestia.

Ma soprattutto, come se non risuonassero le parole del portavoce di Orban, Zoltan Kovacs, diramate pochi istanti dopo la provvidenziale beffa dell’Aula: «Grazie al voto dei suoi compagni del Parlamento Ue, Ilaria Salis rimane al riparo dalla punizione (manco è iniziato il processo e già si parla di punizione, manco di pena, ndr) che le spetta. Il suo posto è in prigione (insiste, ndr), non in Parlamento. Salis è una violenta attivista Antifa arrivata in Ungheria per dare la caccia agli oppositori politici nelle strade, a colpi di martello».

Quindi: lo Stato di diritto nel Paese danubiano, così come descritto da fonte ufficiale, consiste nel proclamare la colpevolezza dell’imputata ben prima della sentenza, e per giunta per un capo d’imputazione diverso dalle «lesioni potenzialmente letali» che la minuta attivista avrebbe inflitto a un naziskin grosso quanto un armadio. E sì, perché sempre nella nota di Kovacs si evocano frasi di Salis contro Israele da lei definito «regime genocida e di aparteid», frasi chiosate dal comunicato ungherese come la «classica propaganda terroristica dalla bocca di un terrorista». Sempre condanne senza processo, nella garantista Ungheria.