La pausa agostana è ormai alle porte, ma l’estate che precede i lunghi mesi prima del ( probabile) congresso di febbraio si preannucia infuocata. Sotto attacco, com’è ormai consueto nel dibattito interno del Pd, il ruolo del segretario. La prima a lanciare il sasso è stata, qualche giorno fa, la renziana Maria Elena Boschi: «Martina guida il partito perché era il vicesegretario, l’assemblea ha fatto una scelta però abbiamo bisogno del congresso il prima possibile. Non perché sia la soluzione di tutti i nostri problemi, però è l’unico modo per rilanciare il Pd e soprat- tutto per chiarire quale è la visione del partito: una volta che si sceglieranno la linea e il leader, dovranno finire tutte le divisioni». Un attacco in piena regola al povero Martina, che ha appena finito di comporre la sua segreteria allargata e condivisa ( pur riuscendo comunque a incassare le critiche di tutte le correnti) e si sta dando da fare per «riportare il partito in mezzo alla gente», con riunioni itineranti nei quartieri difficili delle grandi città. Eppure, proprio ora che l’assemblea lo ha nominato segretario, il termine “reggente” è diventato tecnicamente più appropriato: il Pd è un cantiere aperto, con le correnti tutte alla ricerca del leader giusto. Chi per scalzare i renziani dalla maggioranza, come gli orlandiani che sono conversi sull’eterno predestinato, il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. Chi per rafforzare la linea governativa, riallineandosi dietro l’ex premier Paolo Gentiloni, unico nome considerato di discontinuità rispetto alla faida aperta lo scorso congresso e conclusa con la pace armata tra renziani e minoranze. Chi per trovare un degno sostituto di Matteo Renzi, che per ora non sembra interessato a rientrare al Nazareno ma si è limitato a profetizzare alla minoranza: «Perderete di nuovo anche questa volta». E, proprio in quest’ottica, l’affondo improvviso di Boschi a Martina prende una nuova sfumatura. A chi glielo ha chiesto, prendendo la questione alla larga e parlando di possibili leadership femminili, lei risponde sempre un enigmatico «vedremo», ma nell’intervista al Corsera si è sbilanciata con un «mai dire mai». Che sia il suo uno tra i possibili nomi in lizza, lo ipotizzano in tanti. La scuderia renziana è zeppa di gregari ma povera di leader riconoscibili e Meb è forse l’unica a poter contare, oltre che sulla rappresentatività di genere, su una riconoscibilità personale mai offuscata dall’ex segretario. Ora - dopo mesi di silenzio dopo il caso banca Etruria - l’ex ministra per le Riforme è tornata ad intervenire in pubblico e lo sta facendo sempre più spesso alle ex feste dell’Unità: ieri era a Roma con il collega Andrea Marcucci, in una tavola rotonda ad alto tasso renziano, in cui ha discusso il futuro del partito dopo la sconfitta elettorale; l’ 8 settembre ( unica big renziana già confermata) sarà invece alla festa nazionale dell’Unità, che quest’anno si svolge a Ravenna. Che si tratti di un test per saggiare l’apprezzamento della base è ancora presto per dirlo, certo è che tutti i nomi fino a qui ipotizzati per un rilancio della maggioranza renziana sono lentamente tramontati.