«Sostenere che i soccorsi sarebbero stati condizionati o addirittura impediti dal governo costituisce una grave falsità che offende, soprattutto, l'onore e la professionalità dei nostri operatori impegnati quotidianamente in mare, in scenari particolarmente difficili». Così il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi nell'informativa urgente alla Camera sul naufragio del 26 febbraio al largo di Cutro in Calabria.

«Voglio rinnovare prima di tutto il cordoglio, mio personale e di tutto il governo, per le vittime di questo ennesimo, tragico, naufragio e la vicinanza alle loro famiglie e ai superstiti», ha esordito Piantedosi che subito dopo ha ricordato il bilancio delle vittime, salito a 72, «non è ancora definitivo»: di queste 28 sono minori.

I superstiti sono 80: «Di questi, 54 sono accolti nel locale Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo (Cara), 12 nel Sistema Sai a Crotone, otto sono ricoverati in ospedale, due minori non accompagnati sono stati collocati nelle strutture dedicate e tre soggetti, presumibilmente gli scafisti, sono stati arrestati. I sopravvissuti sono afghani, iraniani, pakistani, palestinesi, siriani e somali».

E dopo aver espresso «profonda gratitudine alla Calabria che, da sempre, accoglie con solidarietà e generosità i tanti migranti che sbarcano sulle sue coste e che affronta questa tragedia con compostezza e dignità non comuni», ha precisato che «la segnalazione Frontex circa l’imbarcazione non rappresentava una situazione di pericolo» e «non c’erano state chiamate di soccorso di nessun genere».

Pochi minuti dopo le 3.55, «sull’utenza di emergenza 112 giunge una richiesta di soccorso telefonico da un numero internazionale che veniva geolocalizzato dall'operatore della Centrale operativa del Comando provinciale dei Carabinieri di Crotone e comunicato, con le coordinate geografiche, alla Sala operativa della Capitaneria di porto di Crotone. È questo il momento preciso in cui, per la prima volta, si concretizza l’esigenza di soccorso per le autorità italiane», ha sottolineato il ministro.

«Tornando ai momenti immediatamente precedenti al naufragio e quindi ai racconti dei sopravvissuti, la navigazione era proseguita fino alle 3.50 quando, a circa 200 metri dalla costa, erano stati avvistati dalla barca dei lampeggianti provenienti dalla spiaggia e a quel punto gli scafisti, temendo la presenza delle forze dell’ordine lungo la costa, effettuano una brusca virata nel tentativo di cambiare direzione per allontanarsi dal quel tratto di mare», ha proseguito Piantedosi.

«In quel frangente, la barca, trovandosi molto vicino alla costa e in mezzo a onde alte, urta, con ogni probabilità, il basso fondale, una secca, e per effetto della rottura della parte inferiore dello scafo, comincia a imbarcare acqua - ha aggiunto - Sempre sulla base delle dichiarazioni dei superstiti, a quel punto due degli scafisti si buttano in acqua, mentre un terzo viene fermato dai migranti, per impedirgli di lasciarli soli sulla barca incagliata; molti altri migranti, nel frattempo, salgono sul ponte in cerca di aiuto e lo scafista rimasto a bordo, approfittando del momento di caos, riesce ad abbandonare la barca su un gommone di piccole dimensioni e a far salire poi gli altri due scafisti per dirigersi verso la costa. In quel preciso momento una forte onda capovolge la barca di legno e tutti i migranti cadono in mare mentre la barca viene distrutta».

«Non esistono, né possono esistere barriere tra corpi dello Stato che operano in un campo, quello degli interventi in mare, che si fonda sulla cooperazione e sul coordinamento proprio perché il conseguimento di risultati, in quel contesto, più ancora che in altri, non può che avvenire con il concorso e il contributo di tutti gli attori coinvolti, come peraltro il diritto interno e quello internazionale impongono», ha detto ancora.

Mercoledì il ministro replicherà a Palazzo Madama. Il titolare del Viminale, a partire delle 13, dovrà riferire in particolare sul ruolo avuto in quelle ore dalla Guardia di Finanza e dalla Guardia Costiera.