Dalla richiesta di dimissioni della sindaca pentastellata Virginia Raggi, alla raccolta firme per cacciare il segretario cittadino Andrea Casu. Per spiegare il testacoda del Partito democratico romano ( e districarsi nel gioco dei troni della federazione capitolina), bisogna ripercorrere i fatti partire da sabato scorso, cominciando dalle dichiarazioni del segretario Nicola Zingaretti su Raggi: «Dovrebbe dimettersi? No, dovrebbe affrontare con più decisione e collegialità temi per troppo tempo irrisolti». Una posizione e soprattutto quella parola, ' collegialità', che ha fatto sgranare gli occhi a più di un romano e a più di un dirigente, compreso lo storico vice in consiglio Regionale, Massimiliano Valeriani, che ha preso le distanze: «C'è una grande differenza tra l'obbligo di avere rapporti istituzionali corretti con Roma e il giudizio politico su un'amministrazione fallimentare». Eppure l’effetto è stato deflagrante, anche perchè Zingaretti, quando parla di Roma, non è solo il segretario di un partito di governo, ma soprattutto il presidente della Regione Lazio. E il risultato è stato immediato: la stessa Raggi ha confermato di non scartare a priori l’ipotesi di una sua ricandidatura.

Quasi contestualmente, le agenzie hanno battuto una notizia che già da tempo agitava la componente di minoranza del partito romano ( ma maggioranza a livello nazionale con Zingaretti): trentanove firme di dirigenti e amministratori locali di area zingarettian- orlandiana ( dalla ex competitor per la segreteria, Valerio Baglio, a nomi di peso come la presidente del I Municipio Sabrina Alfonsi e l'ex consigliere comunale e regionale, Enzo Foschi) per chiedere le dimissioni del renziano Casu. A scaldare la graticola su cui è stato messo il segretario è il suo stesso curriculum politico: cresciuto nella Margherita e renziano da sempre, eletto con il 57% dei voti due anni fa con il placet silenzioso anche dei veltroniani che fanno capo a Roberto Morassut e della componente di Matteo Orfini, vicino a deputato romano Luciano Nobili ( passato a Italia Viva). La motivazione formale sarebbe un presunto immobilismo del partito romano a guida Casu, nei fatti sotto accusa è finita la sua mancata presa di distanze da Italia Viva, all'indomani della scissione.

I ranghi della sua maggioranza si sono serrati intorno al segretario, che ha scelto di non commentare la situazione prima della direzione. I renziani rimasti nel Pd si sentono però sotto assedio, braccati da una minoranza congressuale che sta cercando di riconquistare la federazione romana, e contrattaccano: «Se dopo una scissione tanto dolorosa la prioirità che il Pd si dà a Roma è quella di mandare a casa il segretario cittadino, mi domando che immagino diamo di noi all’esterno», scrive la responsabile comunicazione Claudia Daconto, dando voce al sentimento dei molti, che rivendicano anche come il partito con l’attuale segreteria sia passato dal 17% delle amministrative al 31% delle europee e sia tutt’ora impegnato a ripianare debiti ingenti e provenienti dalla precedente gestione.

I cospiratori venuti allo scoperto, invece, sostengono che Roma abbia bisogno di un cambio di passo sulla scia di quanto portato avanti da Zingaretti e che Casu stia facendo da tappo, non valorizzando iniziative in vista della Costituente delle idee nè stimolando la discussione nei municipi per costruire un progetto per il post- Raggi, oltre alle iniziative per chiederne le dimissioni. Richiesta, per altro, che secondo alcuni avrebbe avuto l’obiettivo di mettere in difficoltà proprio Zingaretti nella sua doppia veste di segretario e presidente della Regione.

Proprio questo passaggio è diventato il tallone d’Achille per i detrattori di Casu: difficile spiegare alla base l’apertura alla Raggi, i dem di rito zingarettiano si sono affrettati a ridimensionare le parole del segretario: «L'idea di una ' Raggi bis' con il sostegno del PD è una cosa del tutto inventata. Messa in campo da chi vuole attaccare Zingaretti che questa cosa non solo non l'ha mai detta, ma bensì sta invitando tutti da tempo a lavorare per l'alternativa», è la lettura autentica di uno zingarettiano doc come il deputato ed ex segretario romano Marco Miccoli, corroborata dalla chiosa di Foschi: «Il tema è come far sì che Raggi produca meno danni possibile» e «come occupiamo questo tempo anche per costruire una alternativa concreta», con un Pd che «si mette al servizio di un progetto più grande che, ponendo Roma avanti a tutto, punti a costruire una proposta seria per dare un futuro a questa città». Un progetto, però, che per nascere deve prima defenestrare il segretario dem locale. E che va nella direzione di un candidato sindaco su cui i 5 Stelle possano agevolmente confluire al ballottaggio, imperniando dunque l’attività del Pd Roma più sui consiglieri comunali ( che necessariamente collaborano gomito a gomito coi grillini e dunque possono creare sinergie), che sulla dimensione politica e prettamente partitica.

Motivazioni sufficienti o meno, sarà la direzione di domani a dirlo. Nessuna certezza sui numeri: i firmatari sono di fatto minoranza, ma puntano a raccogliere nuovi sostenitori. Ma nessuna certezza, soprattutto, sul post: se la cacciata di Casu riuscisse, i compatti contro di lui non lo sono altrettanto nell’indicare un nome per sostituirlo su una sedia che rimane rovente.