Gli indicatori puntano tutti nella stessa direzione: l’Italia è ferma. Le ragioni, secondo l’economista e professore all’Università di Pavia Riccardo Puglisi, sono sia strutturali che legate alla politica economica del governo Conte.

Partiamo dagli elementi strutturali.

I nostri problemi di lungo termine sono connessi al fatto che la produttività italiana è ferma da 25 anni. L’equazione è semplice: l’economia cresce se la produttività cresce, dunque la questione strutturale e il tema più preoccupante oggi è quello del lavoro. Eppure, se ne parla poco.

L’Ocse, nel certificare la crescita 0 dell’Italia, “suggerisce” l’abrogazione di quota 100. Condivide?

L’Ocse ha ragione: Quota100 è costosa e va contro alcuni dati inoppugnabili.

Quali?

In Italia siamo di fronte a una crisi demografica, con l’aspettativa di vita che sale e la natalità che si abbassa. Inoltre, il nostro è un sistema pensionistico “senza tesoretto”, in cui i fondi per le pensioni vengono dai contribuiti di chi oggi lavora. Con questi presupposti, logica vorrebbe che l’età pensionabile si alzasse e non vice versa. Maroni lo fece con lo “scalone”, che poi Damiano ridusse con lo “scalino”; nel 2011 lo fece anche la riforma Fornero. Oggi, invece, si torna indietro, anche se temporaneamente.

Perché dice temporaneamente?

La completa cancellazione della riforma Fornero avrebbe probabilmente portato ad una grave crisi finanziaria, per questo i mercati e la Ragioneria generale dello Stato hanno insistito perché Quota100 durasse solo tre anni. In pratica, si tratta di una costosa finestra per andare in pensione, che l’Ocse chiede di chiudere il prima possibile. Anche perché è un mistero come possa avere effetti positivi sulla crescita.

Secondo il governo Quota100 dovrebbe favorire la staffetta generazionale e dunque creare lavoro.

Purtroppo posso utilizzare solo i dati Inps comunicati durante la presidenza di Tito Boeri, perché oggi l’istituto ha smesso di fornirli. Le prime domande per accedere a Quota100 sono state, per il 90%, presentate da lavoratori privati disoccupati. Dunque, la staffetta generazionale è esclusa. Ora la percentuale sarà probabilmente scesa, ma è impossibile saperlo senza numeri.

Il reddito di cittadinanza, invece, va nella direzione di migliorare il trend economico?

Dal punto di vista teorico, è una misura più giustificata rispetto a Quota100. Il punto è che è stata costruita male, con un’aliquota marginale al 100%. Una follia totale, come se chi l’ha scritta non avesse mai letto un manuale di scienza delle finanze.

In concreto, che cosa significa?

Le faccio un esempio: io ho un reddito di 0 e, con il reddito di cittadinanza, ricevo 800 euro al mese. Se inizio a lavorare e passo da 0 a un reddito di 200 euro, perdo una parte di sussidio, perché vengo comunque portato a un reddito di 800 euro. Quindi, è come se perdessi i 200 euro che ho guadagnato da solo. Come dicevo, una follia.

Cosa servirebbe al Paese per uscire dal buco nero della crescita 0?

Tre cose: un taglio delle tasse credibile, quindi associato ad una rigorosa spending review; un potenziamento degli investimenti pubblici, proprio come diceva l’ex ministro Paolo Savona; un ritorno dall’Imu all’Ici.

Modificherebbe l’imposta municipale unica?

Sì, anche se so di andare contro la linea dell’Ocse. Ritengo, infatti, che per creare gettito senza far male alla crescita non sia necessario tassare gli immobili, ma sarebbe preferibile tornare verso la precedente misura d’imposta.

Che incidenza ha, in questo quadro, il debito pubblico al 130%?

Anzitutto le dico che si dovrebbe aspirare al pareggio di bilancio, correttamente inserito in Costituzione con Giancarlo Giorgetti relatore. Per iniziare ad invertire la tendenza, bisognerebbe anzitutto potenziare la crescita attraverso investimenti pubblici. Nell’area euro c’è chi l’ha fatto: il Belgio aveva un debito esploso come il nostro ma, a differenza dell’Italia, ora l’ha abbassato.

A proposito di Ue, la cosiddetta austerity è tra le concause della crisi italiana?

Rifiuto l’idea propagandistica di usare l’Europa come capro espiatorio. A far male alla nostra crescita sono state l’incertezza economica provocata da questo governo e il rallentamento dell’economia mondiale. Quello sull’austerity è un commento ridicolo: abbiamo una spesa pubblica del 50% del Pil, come facciamo proprio noi a lamentarci dell’austerità?

In che modo l’Ue potrebbe essere per noi strumento di crescita?

Anzitutto aumentando gli investimenti pubblici europei. Nel medio- lungo periodo, bisognerebbe arrivare ad un bilancio e tasse a livello federale, introducendo un meccanismo di stabilizzatori automatici, come avviene negli Stati Uniti. Inoltre, i debiti pubblici dovrebbero essere accorpati, per generare titoli di stato europei. L’obiettivo finale, insomma, sarebbe una vera federazione europea, che sommi moneta e fiscalità. Questo disegno, tuttavia, si scontra con il crescere dei nazionalisimi nei singoli stati.