«Un governo Pd e Cinque Stelle, sono quindici giorni che lo dico, finirà così, vedrete». Ma la battuta che Giancarlo Giorgetti, vicesegretario e capogruppo leghista, consegna a Il Dubbio, all’uscita dall’aula dopo il dibattito aperto dalle comunicazioni di Gentiloni sulla crisi siriana, non è ovviamente un auspicio. Piuttosto un modo per rimpallare a Luigi Di Maio la responsabilità della «chiusura del forno» che invece la Lega aveva tenuto aperto. «Io però in questi forni che Di Maio apre e chiude incomincio a sentire puzza di pane bruciato», chiosa in modo colorato, da par suo, un altro big leghista, il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli. Segno evidente che l’asse Di Maio- Salvini è davvero ormai ai minimi termini. Il segretario della Lega continua a dire che per lui l’unica soluzione è un governo «centrodestra- cinquestelle». Ma, a conferma delle difficoltà dell’asse picconato da Silvio Berlusconi con il suo show al Quirinale, Matteo Salvini tira anche fuori l’entrata in campo di «un terzo nome», che non sia né il suo né quello di Di Maio. E, comunque, Salvini come punto di caduta propone «un governo di centrodestra al quale spero collaborino i Cinque Stelle».

Resta il veto salviniano sul Pd. Di più, il capo leghista continua a mettere sullo stesso piano i veti di Di Maio ( che ha sottoscritto gli attacchi a testa bassa di Di Battista) con quella che dentro Fi chiamano «la legittima difesa di Berlusconi». Dice Salvini: «Se Di Maio e Berlusconi continuano la lite qui si rivota». Insomma, «non è colpa della Lega». E al Cav, non difeso dai leghisti neppure quando “il Dibba” gli ha dato del «male assoluto», fischiano di nuovo e di brutto le orecchie. Rivotare, ma quando? Lo stesso Calderoli, che di pratiche parlamentari- istituzionali si intende, sostiene, rispondendo a una semplice domanda teorica, che comunque «la finestra di giugno assieme alle amministrative è praticamente chiusa, se ne parla dopo…». Ma dopo significa l’autunno, quando ci sarà la legge di Bilancio. E, intanto, la scommessa di Giorgetti che alla fine si andrà a un governo Cinque Stelle e Pd, dentro Forza Italia viene anche vista non solo «come un modo per rimpallare la responsabilità della rottura ai Cinque Stelle, ma anche un tentativo per sottrarsi all’eventualità che si faccia il suo nome per la guida di un governo di minoranza di centrodestra che si basi sull’astensione dei dem e dei grillini responsabili». Perché è questa la linea del “buon senso” rilanciata da Berlusconi nel suo bagno di folla per le regionali in Molise. Altra soluzione è il governissimo, bocciato già da Salvini. Ed è probabilmente quello che il Cav ribadirà ai suoi 170 parlamentari alla cui riunione questo pomeriggio alle 17 è atteso. Puntualizza con Il Dubbio Sestino Giacomoni, deputato, capo della conferenza dei coordinatori regionali azzurri, quarantenne di punta dei giovani leoni di Forza Italia, che occupa da tempo un ruolo importante nello staff di Berlusconi: «Auspichiamo che prevalgano soluzioni di buon senso per un governo autorevole. E confidiamo nel fatto che il presidente Mattarella con la sua saggezza e il suo equilibrio faccia prevalere nelle forze politiche questi atteggiamenti di buon senso». Salvini ora prevede che «la Casellati farà un buon lavoro». Perché fino a ieri sera i rumors che arrivavano erano quelli di un incarico esplorativo dato oggi dal presidente Mattarella alla seconda carica dello Stato. Incarico che è puntualmente arrivato.

Due scuole di pensiero sembrano prevalere nel caos politico: quello di una sinistra anti- renziana che lavora per un governo Pd e Cinque Stelle, convinta così di poter recuperare i milioni di voti persi a favore dei grillini e così di poter nell’ «abbraccio» governativo indebolire i pentastellati; l’altra scuola di pensiero è quella di Berlusconi assertore della linea che i grillini, tranne quelli “responsabili”, sarebbe meglio che vadano all’opposizione, perché, spiegano fedelissimi del Cav: «Solo così gli italiani capiranno che hanno dato un voto inutile. Solo così potrebbe iniziare il declino dei Cinque Stelle». Probabile che il Cav lo ribadirà oggi ai suoi. E se alla fine sarà governo Pd e Cinque Stelle, magari con un passo indietro per Di Maio, un nuovo bipolarismo si delineerebbe all’orizzonte, con un Cav sempre in sella, che «dall’opposizione rifarà la traversata del deserto», commentano dentro Fi.

Quando, ragionando per paradossi, «Di Maio aveva un’unica possibilità per fare il premier e cioè far cadere il muro su Berlusconi», osserva la deputata azzurra Michaela Biancofiore. Berlusconi sta preparando, intanto, una sfida all’Okay Corral in Molise dove invierà una cinquantina di parlamentari azzurri per non lasciare campo libero tutto a Salvini e impedire un nuovo sorpasso oltre che una vittoria pentastellata. Intanto, in Transatlantico tiene ancora banco lo show al Quirinale. Ignazio La Russa, cofondatore di Fratelli d’Italia, vicepresidente del Senato, racconta divertito: «Giorgia ( Meloni ndr) si è arrabbiata e ha ragione. Ma al termine del vertice di giovedì scorso quando Berlusconi ha detto in modo perentorio: al Colle parlerà Matteo e basta, conoscendo io Berlusconi da prima di loro, ho detto subito agli altri: guardate che questo significa che lui non starà zitto, ma farà una battuta alla fine. Certo non avevo previsto che avrebbe parlato prima, durante mimando con i gesti della mano, e dopo. Berlusconi è così, lo conosco da quando nel ’ 94 mi chiamava: avvocato La Russa».