Se si trattasse di rapporti interpersonali invece che politici sarebbe ormai inevitabile parlare di molestia. Il pressing diretto e indiretto sul capo dello Stato perché cambi idea e affermi di poter accettare un secondo mandato è infatti martellante e impermeabile ai dinieghi. Più il capo dello Stato uscente ripete di non aver alcuna intenzione di alloggiare ancora sul Colle, più i partiti, anzi il Pd perché è il Nazareno a spendersi molto più di tutti gli altri, insistono. L'ultimo no del presidente, ieri, è stato affidato a una comunicazione informale e non poteva essere diversamente. Si trattava infatti di confutare non un fatto o un invito esplicito ma un'interpretazione, quella secondo cui il disegno di riforma costituzionale presentato dal Pd per vietare la rielezione e cancellare il semestre bianco, praticamente le proposte di Mattarella trascritte parola per parola, mirava in realtà a spingere il capo dello Stato ad accettare un secondo mandato. Logica tortuosa ma probabilmente davvero presente nelle intenzioni del Pd: se la preoccupazione del presidente è che la rielezione possa diventare unabitudine, basterà tranquillizzarlo piazzando un divieto ad hoc, che però scatterebbe dopo la sua rielezione. L'interpretazione deve essere stata presa da Mattarella sul serio, se ha sentito il bisogno di far sapere che la presentazione del ddl costituzionale non cambia niente per lui e anzi casomai è un motivo in più per evitare un secondo mandato.La storia non finisce probabilmente qui. Se anche fossero moltiplicati per 100, i rifiuti di Mattarella non impediranno di guardare al Colle se l'elezione del prossimo presidente finirà nella palude dei veti incrociati. Si può in compenso escludere con certezza che il presidente uscente si presti a tirare fuori dai guai i partiti aprendo anche solo uno spiraglio che porterebbe inevitabilmente alla sua rielezione immediata, evitando così l'ordalia dell'aula come il Pd vorrebbe fare. Non è escluso, pur se molto improbabile, che in una situazione drammatica Sergio Mattarella possa ripensarci, secondo il percorso che portò alla rielezione di Napolitano, ma di certo non sarà lui a evitare il rischio che quella situazione drammatica si determini. Quel rischio c'è, e proprio questo spaventa tanto il Pd, il cui incubo è però un altro: che dalla situazione drammatica in questione esca un presidente eletto solo dalla destra, con qualche aiuto e supporto. La strada maestra per evitare il caos sarebbe evidentemente concordare subito un candidato comune di tutti. È una strada difficilmente percorribile non solo perché lo stato dei partiti e dei gruppi parlamentari è quello che è ma anche perché ostruita da due macigni, ognuno dei quali ha un nome preciso: Draghi e Berlusconi. Draghi sarebbe il candidato naturale per la carica e per il ruolo al di sopra delle parti. Problemi ci sarebbero di certo ma non insuperabili, se i partiti fossero davvero convinti e determinati. La realtà è opposta. I partiti non vogliono Draghi perché ne temono il peso e la possibile invadenza e almeno in parte adoperano i problemi reali come alibi. Però resta il fatto che dribblare il candidato ideale per trovare un suo sostituto comunque meno adatto alla parte non è facilissimo.L'ostacolo Berlusconi è anche più ingombrante. Il Cavaliere vuole vincere, non partecipare. Può anche essere il solo a crederci davvero e anzi probabilmente lo è ma non è la prima volta che gli capita. Dunque salvo convergenza immediata su Draghi, di fronte alla cui candidatura appoggiata da tutti probabilmente anche Berlusconi sarebbe costretto al passo indietro, Berlusconi terrà duro a lungo sulla propria candidatura e se costretto a rinunciare chiederà di indicare lui il prossimo presidente. La destra, per quanto poco convinta, lo appoggerà perché oggi solo quello è il cemento che tiene insieme una coalizione divisa. Ma se il Cavaliere terrà duro anche solo per qualche votazione la situazione diventerà ingarbugliatissima. È per questo che nel Palazzo i tanti che sperano di spegnere l'incendio ancora prima che divampi vagheggiano una sorta di mandato (informalmente) a termine per Giuliano Amato: due anni poi, in base a una specie di tacito accordo fra gentiluomini, il dottor sottile lascerebbe il posto al presidentissimo momentaneamente occupato a palazzo Chigi. Tutto è possibile, ma la via è un po' troppo obliqua e tortuosa per funzionare. Così, salvo scatti di reni nelle prossime e ormai poche settimane, dato che probabilmente le votazioni inizieranno il 26 gennaio, è probabile che a metà percorso molti torneranno a bussare alla porta di Mattarella. Con poche chances di trovarla meno sbarrata di quanto non sia ora.