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ROBERTO VANNACCI GENERALE E MATTEO SALVINI POLITICO
Giorgia Meloni, come ampiamente visto negli ultimi giorni, ha deciso di alzare il volume. L’omicidio di Charlie Kirk, l’influencer conservatore americano, è diventato per la premier un terreno di battaglia politica. Non solo un caso di cronaca nera da commentare con parole di circostanza, ma un dossier da cavalcare con dichiarazioni sempre più aggressive verso la sinistra. Ma al di là delle questioni identitarie e della polemica nei confronti dei partiti della sinistra, l’altro obiettivo della premier appare altrettanto evidente: impedire che siano Matteo Salvini e il generale Roberto Vannacci a monopolizzare il cordoglio e la narrazione politica, trasformandoli in benzina per la loro campagna elettorale a trazione sovranista.
Gli osservatori non hanno dubbi: tra i leader di centrodestra, Salvini è stato il più rapido e il più emotivo nel manifestare solidarietà, trasformando il lutto in un appello diretto alla base leghista. «Kirk non è stato solo un pensatore, ma un esempio di coraggio – ha detto il leader del Carroccio –. Porteremo il suo metodo anche in Italia, nelle scuole, per formare nuove generazioni di conservatori liberi e fieri». Un annuncio che suona come un vero e proprio programma politico- culturale, destinato a prolungarsi ben oltre l’immediata ondata emotiva.
Vannacci non è stato da meno. Presentando le liste della Lega nella sua Toscana, il generale ha puntato il dito contro la sinistra accusandola di «alimentare un clima di odio verso chi non si allinea al pensiero unico». Una carica frontale che ha riacceso il dibattito interno alla coalizione: c’è chi teme che il Carroccio stia cercando di capitalizzare il caso Kirk per consolidare la propria leadership nell’elettorato più identitario e conservatore.
Ed è qui che è entrata a gamba tesa Meloni, che non intende lasciare campo libero ai due alleati- rivali. La presidente del Consiglio, incurante della responsabilità istituzionale che le impone di pesare le parole, ha scelto di marcare il terreno con una serie di dichiarazioni che accusano la sinistra di minimizzare la gravità dell’omicidio e di strizzare l’occhio a chi diffonde «un clima di violenza verbale contro i conservatori».
La strategia può essere di facile lettura:: con le Regionali ormai alle porte, Meloni non può permettersi di scoprire il fianco destro. La premier sa che la Lega dispone di un margine di manovra più ampio, potendo lanciare proposte radicali e gesti mediatici senza il peso del ruolo di governo. Per questo ha deciso di spingersi oltre il registro istituzionale, con toni che ricordano le campagne più combattive di Fratelli d’Italia all’opposizione.
Il risultato è una competizione a tre sul terreno del “dopo Kirk”: chi saprà interpretare meglio il sentimento di rabbia e rivalsa dell’elettorato conservatore? Salvini gioca la carta dell’empatia popolare, Vannacci quella del patriottismo militante, Meloni punta a saldare la sua immagine di leader di governo con quella di difensore dei valori della destra.
Una partita delicata, perché se da un lato il centrodestra mostra compattezza nel denunciare l’omicidio e nel richiamare il pericolo di un clima ostile verso i conservatori, dall’altro lato le sfumature tra i tre leader diventano armi di concorrenza politica. E in campagna elettorale, ogni centimetro di consenso conta.
Meloni lo sa e si muove di conseguenza: presidiare la scena, contrastare l’egemonia comunicativa di Salvini e Vannacci, non perdere il contatto con quell’elettorato che l’ha premiata anche per la sua capacità di parlare senza filtri. Il caso Kirk diventa così un test politico in piena regola, un banco di prova per misurare la tenuta del blocco conservatore e per capire chi, nel centrodestra, è oggi il vero interprete dell’onda lunga del populismo di destra e della galassia MAGA.