«Carlo Nordio è l’uomo giusto al momento giusto». Se qualcuno poteva avere ancora dei dubbi sulla fiducia che la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nutre nei confronti del suo ministro della Giustizia, l’intervista dell’inquilina di palazzo Chigi al Foglio ha fatto chiarezza una volta per tutte. Almeno per ora.

D’altronde la leader di Fratelli d’Italia, nei primi sei mesi di governo, non ha mai fatto mancare il proprio appoggio al Guardasigilli, talvolta anche convocandolo a palazzo Chigi per un colloquio chiarificatore nel momento del bisogno, ma dal quale ogni volta sia la Presidenza del Consiglio che via Arenula uscivano rafforzati e con una linea comune: portare avanti il progetto riformatore sulla giustizia. Anche perché, come ha spiegato Meloni, «i cittadini ci hanno accordato la loro fiducia perché ci chiedono una giustizia giusta, veloce ed efficiente». E a portare a compimento questo progetto, che per la verità stenta a decollare a causa delle frizioni interne alla maggioranza sul tema, nella mente della presidente del Consiglio non può che essere l’ex procuratore capo di Venezia, che in queste ore sta affrontando la grana della fuga del faccendiere russo Artem Use dal nostro paese mentre era sottoposto agli arresti domiciliari con tanto di braccialetto elettronico.

Nel suo colloquio con il quotidiano diretto da Claudio Cerasa Meloni ha affrontato diverse questioni sull’agognata riforma della giustizia: dai tempi certi della giustizia a un’esecuzione delle pene «che non contraddica lo spirito della legge», da un sistema di indagini che garantisca i diritti fondamentali dei cittadini e non calpesti la dignità della persona alla carcerazione preventiva, che «va limitata ai casi necessari», fino alla segretezza degli atti, definita «sacrosanta».

Un programma ribadito a Nordio nel colloquio di qualche giorno fa a palazzo Chigi, necessario per fare chiarezza proprio sul caso Artem Uss, e nel quale la presidente del Consiglio ha condiviso la linea di fermezza portata avanti dal Guardasigilli nei confronti dei pm della Corte d’Appello di Milano, e anche in quello resosi necessario ormai qualche mese fa dopo le numerose uscite che l’opposizione non ha tardato a giudicare «a vuoto» di Nordio sul caso intercettazioni.

Ma quel che conta è che Giorgia Meloni è ancora saldamente al fianco del ministro che ha fortemente voluto a via Arenula nei giorni della formazione del governo, tanto da farne una pietra miliare della lista dei ministri più volte modificata con i principali alleati di governo, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.

Quel Salvini che alla guida del ministero delle Infrastrutture sembra aver arrestato l’emorragia di consensi verso la Lega e che è appena stato nominato dalla stessa Meloni alla guida dela cabina di regia contro l’emergenza siccità. E quel Berlusconi che alla guida del ministero della Giustizia avrebbe voluto l’ex presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, poi “spostata” alle Riforme proprio per la fermezza di Meloni nel volere Nordio a via Arenula.

«Il “pensiero unico manettaro” non fa parte della mia cultura politica e non penso neppure che sia dominante nella magistratura», ha scandito Meloni tanto per chiarire una volta di più l’animo dal quale è mosso questo governo, per il quale «l’assenza di garantismo è un male» ma «l’eccesso di garanzie ne è l’immagine capovolta». Per questo, ha aggiunto la presidente del Consiglio, «servono equilibrio e cultura delle istituzioni, conoscenza della magistratura e sensibilità politica». Un concetto ribadito anche da fonti di via Arenula, che confermano come Meloni e Nordio si muovano sulla stessa direttrice all’insegna del «programma di governo» e del «rispetto delle istituzioni».

E chissà se le parole di Meloni non costituiscano una spinta per il sostegno alle riforme da parte del terzo polo, che non sarà rimasto indifferente di fronte a parole come «non si può essere condannati nel clamore della stampa e poi essere assolti nel silenzio del tribunale, quando la tua vita è stata distrutta e nessuno potrà mai restituirtela» (copyright la presidente del Consiglio) o «dal penale al civile, serve una nuova cultura del diritto che è uno strumento di convivenza e non di guerra tribale». Insomma, palazzo Chigi ha fatto capire che dopo il necessario periodo di riscaldamento dei motori ora il governo è pronto a far partire la macchina. Al comando Nordio e Meloni. Sempre che qualcuno dal retrovie non metta loro i bastoni tra le ruote.