Enrico Letta non poteva scegliere giornata migliore per calare la sua carta: un'intervista nella quale avverte che il colpo di mano della destra sull'elezione del prossimo presidente equivarrebbe a crisi di governo ed elezioni ma anche nella quale, sia pure indirettamente, schiera il Pd a favore della candidatura Draghi. Non che ci siano novità di sorta. Da un paio di settimane le voci provenienti dal Pd, area lettiana, martellavano sul tema. La novità, tutt'altro che secondaria, sta nella decisione di ufficializzare ora quella posizione. Le voci si possono facilmente smentire. Le interviste in pompa magna.

Probabilmente Letta ha deciso di sferrare subito il colpo per bloccare le tentazioni crescenti nella destra. La candidatura di Silvio Berlusconi non è di facciata e non è una causa persa in partenza però è evidente che all'ombra di quella candidatura a destra cresce anche la tentazione di tentare la conquista del Colle da soli comunque, anche dopo l'eventuale ritiro del capo azzurro, mettendo in campo al suo posto un nome meno indigesto per biografia ma pur sempre con la targa ben in vista. Letta ha scelto di provare a raggelare quella tentazione subito, prima che si radichi troppo a fondo perché la destra possa rinunciare all'arrembaggio.

Lo ha fatto, probabilmente per caso, nel momento migliore. Mai un cda dell'era Draghi era stato caotico, rissoso e lacerato come quello di due sere fa sulle nuove regole Covid. Al termine le voci dei ministri sembravano provenire da un consesso ebbro: nessuno dava la stessa versione di quali norme avesse appena approvato. Nessuno sembrava sapere davvero di cosa stesse parlando. Un quadro di sfarinamento e disgregazione sin qui inedito, perché sempre tenuto a freno da Draghi, e che rafforza la linea del leader del Pd.

Il limite, nella posizione di Letta, è che venga presa, a torto o a ragione, come un bluff. Un presidente “di parte”, eletto cioè con i voti di una parte sola, in questo caso la destra, e di aree più o meno larghe dell'arcipelago centrista, non implicherebbe infatti necessariamente la crisi. Si tratterebbe, al contrario, della norma. La differenza sta nel fatto che in questo momento le parti in causa sono tutte nella stessa maggioranza ed è certamente una differenza sostanziale.

Però è anche vero che si tratta di una maggioranza esplicitamente non politica, che sin dalla nascita non ha preso alcun impegno unitario se non quello di sostenere l'azione dell'esecutivo che in questo caso non è implicata in nessuna misura. In questa cornice, molto meno condizionante di quanto non sarebbe se si trattasse di una maggioranza politica Letta si troverebbe a dover sfiduciare Draghi, cioè un premier e un governo sui quali Letta ha scommesso più di chiunque altro, sino a giustapporre senza residui la linea del partito che guida a quella del governo. Potrebbe davvero Letta fare un passo simile, che suonerebbe come vendicativa rappresaglia e sfidando le ire dei parlamentari, anche del suo stesso partito, il cui primo interesse è proprio evitare crisi ed elezioni? Probabilmente sì ma non gli sarebbe affatto facile ed è inevitabile sospettare il bluff, oppure prendere sul serio le intenzioni del leader del Pd però mettendo in dubbio le sue possibilità di dar poi corso alla minaccia.

Il discorso si rovescia però nel caso di un governo e di una maggioranza ormai sbrindellati e comunque vicini alla dissoluzione o a doversi trincerare dietro la paralisi per non implodere. Già la conferenza stampa di Draghi aveva dato una spinta netta in questa direzione, perché se il primo a dubitare delle possibilità di continuare la navigazione è lo stesso capitano è ovvio che la sfiducia si diffonda. Il cdm di fine anno ha aggiunto un'ulteriore pressione perché se i partiti si mostrano già esausti ora, come si può pensare che reggano al colpo comunque traumatico di un duello rusticano sull'elezione del presidente e poi a un anno di campagna elettorale destinata a essere tra le più tese?

Ad accreditare la minaccia di Letta sono dunque da un lato la realtà del quadro politico, dall'altra la posizione di Draghi. Il bluff resta sempre possibile. Le resistenze dei parlamentari sarebbero comunque strenue. Ma le probabilità che un azzardo della destra sul Quirinale renda inevitabile in voto nella primavera 2022 sono altissime. E' su questa disposizione della scacchiera che la destra, che ha ora la palla in mano, dovrà riflettere nelle prossime settimane prima di fare una scelta definitiva.