La revoca della concessione non c’è ma tutti cantano vittoria. Almeno in maggioranza. Esultano i grillini, soddisfatti per il progressivo allontanamento della famiglia Benotton da Aspi; tira un sospiro di solievo il Pd per lo scampato pericolo di una estromissione sicuramente costosa; sorride a mezza bocca Italia viva, lieta di poter presentare compromesso raggiunto come frutto della lungimirante visione renziana; e persino Leu, più vicina al M5S che ai dem in materia di concesisoni, si dice convinta che il governo abbia imboccato la strada giusta. È un capolavoro di equilibrismo politico quello che Giuseppe Conte disegna nel cuore della notte tra martedì e mercoledì, portando il Consiglio dei ministri ad approvare un progetto che offre a tutti gli alleati la possibilità di rivendicarne un pezzettino e ingoiare qualche rospo senza recriminare. Se c’è un vincitore in questa storia altri non può essere che il premier, campione di mediazione e abile avvocato.

Dopo due anni, il braccio di ferro con i Benetton si conclude con un pareggio onorevole per tutte le parti in causa. Per il governo, che potrà dare una risposta politica ai familiari delle vittime del ponte Morandi, ostentando in pubblica piazza lo scalpo della rimozione della famiglia trevigiana da Aspi, e per Atlantia che altro non dovrà fare che vendere le proprie quote a un player pubblico come Cassa depositi e prestiti ( che controllerà il 51 per cento della società) senza traumi finanziari. Entro il 27 luglio, Cdp dovrà avviare il percorso che porterà all’uscita progressiva dei Benetton, prima scendendo al 10- 12 per cento dell’azionariato, poi con un’ulteriore diluizione in coincidenza con la quotazione in Borsa di Aspi. L’accordo prevede anche l’aumento delle sanzioni, la rinuncia alle cause intentate sulla ricostruzione del ponte Morandi e le compensazioni dovute per il crollo (3,4 miliardi di euro). «È successo qualcosa di assolutamente inedito nella storia politica italiana», può dichiarare soddisfatto Conte. «Il Governo ha affermato un principio, in passato calpestato: le infrastrutture pubbliche sono un bene pubblico prezioso, che deve essere gestito in modo responsabile, garantendo la piena sicurezza dei cittadini e un servizio efficiente».

La vittoria del premier mette a tacere tutti gli alleati. Soprattutto i grillini duri e puri, di rito “dibattistiano” e non solo, pronti a far lo sgambetto a Conte in caso di un passo falso sui Benetton.

Al Movimento non resta altra alternativa che reclamare i meriti del successo, con tanto di post sul Blog intitolato Bye bye Benetton.

«Non è stato semplice», ma lo Stato ha «dimostrato di saper fare lo Stato», dice Luigi Di Maio. «Per la prima volta si è mostrato forte contro i forti, dopo anni di paure e immobilismi. Lo considero un ottimo segnale», aggiunge il ministro degli Esteri. Ma all’ombra dell’accordo si consuma anche un piccolo regolamento di conti tra pentastellati. Come quello che va in scena tra Alessandro Di Battista e Roberta Lombardi. Il primo, pur dichiarandosi soddisfatto per gli «schiaffi» inferti a «una famiglia di potenti come i Benetton», non sciupa l’occasione per lanciare una stoccata contro Mario Draghi, reduce da un incontro con Di Maio, e agli alleati di governo che Dibba non ha mai stimato. «Sono contento del ritorno di questo bene allo Stato», dicein diretta Facebook l’ex deputato, «un controllo saltato con la falsa sinistra di Prodi e dei D’Alema, con Draghi direttore generale del Tesoro». Il tono provocatorio non passa inosservato e Lombardi interviene bacchettare il collega di partito su Twitter, sottolineando i toni aggressivi della sua propaganda. «Caro Alessandro Di Battista, lo Stato serve il bene comune, non gli interessi privati», replica la consigliera regionale laziale. «Esclude i potenti dalla gestione della cosa pubblica. Li mette alla porta, come con i Benetton su Autostrade, ma non li prende “a schiaffi”, parlando la loro stessa arroganza».

E mentre i grillini festeggiano con l’amaro in bocca, il Pd plaude al compromesso raggiunto da Conte. «È stato premiato il lavoro di squadra», dice il segretario dem Nicola Zingaretti «la fermezza del presidente Giuseppe Conte che ha indicato una strada, il grande impegno di tutti i ministri del Governo, la collaborazione fattiva di tutte le forze di maggioranza anche nei passaggi più difficili. Andiamo avanti così». Soddisfatta anche la ministra renziana Teresa Bellanova, che non usa l’accordo per polemizzare con gli alleati, come fa invece il collega Davide Faraone. «È stato dimostrato che avevamo ragione e che un’alternativa alla revoca c’era», commenta il presidente dei senatori Iv. «In questi mesi abbiamo ascoltato demagoghi e populisti che dicevano: i Benetton vanno cacciati».

Conte lascia fare. la sua mossa notturna allontana ancora per un po’ lo spettro delle larghe intese.