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La già tormentata vicenda del ddl Zan ha rischiato di allargarsi a dismisura, chiamando in causa il rispetto del Concordato da un lato, la richiesta di abolirlo dall'altro.
Va a tutto merito di Draghi aver spento l'incendio con la dovuta drasticità. Il premier ha insistito, per le abituali vie traverse e discrete, perché gli fosse fornito in Parlamento l'appiglio necessario per affrontare la questione. Quindi lo ha sfruttato per una difesa secca a netta della laicità dello Stato e delle prerogative del Parlamento sovrano.
Non ha mancato di intervenire nel merito, non della proposta di legge ma della lettera del Vaticano, sottolineando come i controlli di costituzionalità delle leggi siano tali, sia prima che dopo l'approvazione, da fugare il rischio di limitazioni alla libertà d'espressione.
Va ricordato che la lettera inviata il 17 giugno scorso al ministro degli Esteri di Maio dal Vaticano cita, contrariamente alle indiscrezioni delle prime ore, solo questo problema e non quello delle scuole cattoliche, anche se sembra che anche la giornata contro l'omofobia incontri parecchia ostilità oltre Tevere.
L'intervento di Draghi ha impedito che lo scontro sul ddl Zan finisse per trasformarsi in una assurda guerra di religione.
Non ha però potuto sedare quello scontro, che esploderà in luglio. Nella conferenza dei capigruppo di mercoledì sera Lega e FdI hanno provato invano ad appigliarsi alla lettera per chiedere una sospensione dell'iter della legge.
Ma il blitz del Pd, dei 5S e di LeU per accelerare di mesi la marcia calendarizzando subito la discussione della legge in Aula è passato, almeno in conferenza, grazie all'appoggio di Italia viva, che chiede in cambio la convocazione di un tavolo per rivedere il testo. Senza unanimità il passaggio immediato in Aula non è ancora sancito.
Dipenderà dal voto del 6 luglio se portare il ddl della discordia direttamente in Aula il 13 luglio oppure se proseguire in commissione per settimane e mesi.
Se Iv non cambierà idea, ed è improbabile data la fermezza con cui ha difeso la scelta anche con la presidente del Senato, la legge arriverà dunque in Aula ma nulla autorizza a pensare che a quel punto le cose saranno rapidamente risolte.
Lo scontro è all'interno del fronte favorevole alla legge. Concordare alcune modifiche non sarebbe infatti impresa impossibile senza la resistenza dell'ala più intransigente, che include lo stesso Zan. Conte, anche in virtù dei suoi ottimi rapporti con le gerarchie vaticane, è favorevole ad apportare alcune modifiche. Letta si era spinto sino ad annunciare la sua disponibilità a verificare i punti giuridicamente più spinosi, salvo ingranare una fulminea retromarcia di fronte alla reazione degli intransigenti.
Ma non è un mistero che nelle file del Pd, e soprattutto fra le donne provenienti dal femminismo, la richiesta di modifiche sia massiccia. Per Iv, infine, la questione è ultimativa: senza le modifiche non voterà la legge. Lo stesso obiettivo del rilancio azzardato del Vaticano, del resto, è ottenere non la cancellazione ma la modifica della legge.
Se il problema fosse solo estendere la legge Mancino anche a gay, trans e disabili non ci sarebbero troppi problemi. Senza accordo, il Senato si trasformerà in una bolgia.
È probabile che gli emendamenti si contino a decine di migliaia o peggio. In questo caso la presidente del Senato dovrà decidere se adoperare il cosiddetto ' canguro' per accelerare i tempi oppure no.
Gli emendamenti più significativi saranno votati in segretezza e di fatto tutto tornerà in gioco. In ogni caso, anche una minima modifica implicherà il ritorno del testo alla Camera.
La battaglia della legge Zan, uno dei pochissimi provvedimenti di inizativa parlamentare in questa come nelle precedenti legislature, è appena iniziata.