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LUCA ZAIA EX PRESIDENTE REGIONE VENETO
In Veneto il risultato era scritto, almeno per quanto riguarda la scelta del nuovo governatore. Alberto Stefani trionfa con un margine larghissimo e si prepara a raccogliere l’eredità di Luca Zaia. Ma ciò che conta davvero, oltre il rito istituzionale della successione, è il cambiamento politico che si consuma dentro il centrodestra. I risultati parlano chiaro: la Lega vola sopra al 36 per cento, quasi doppiando Fratelli d’Italia ferma attorno al 17. Un dato che rovescia lo scenario di solo un anno fa, quando il partito di Giorgia Meloni andò ben oltre il 30 per cento, mentre il Carroccio si fermava al 16. Dodici mesi dopo, i rapporti di forza si capovolgono. Ed è un ribaltamento che porta un nome preciso: Luca Zaia.
Il governatore uscente era capolista in tutte le province e il suo peso personale si è tradotto in un traino diretto sulle liste. L’affluenza è crollata al 44,2 per cento, ma il dato non ha scalfito il ritorno del modello veneto: un misto di radicamento, prudenza amministrativa e identità territoriale che Zaia incarna da quindici anni. Non a caso, la transizione è stata scandita da un gesto simbolico: la telefonata al presidente eletto Stefani, con cui Zaia ha rivendicato la continuità istituzionale e il ruolo del Veneto come «territorio guida del Paese».
Per Meloni la vittoria di Stefani è un risultato della coalizione, ma il segnale politico è tutt’altro che rassicurante. L’obiettivo implicito — dimostrare che la Lega poteva indebolirsi ulteriormente — viene smentito. E soprattutto salta il piano, coltivato per mesi da FdI, di ridiscutere la mappa delle candidature regionali sulla base della presunta fragilità leghista.
Solo un anno fa, proprio partendo dai rapporti di forza usciti dalle Europee, la premier aveva aperto la partita per la Lombardia, rivendicando l’idea di un candidato di Fratelli d’Italia. Ora, con il Carroccio nettamente avanti in Veneto, quella posizione torna improvvisamente meno sostenibile.
Ma il vero nodo si apre dentro la Lega. Il risultato veneto rilancia con forza l’ala nordista, che da tempo osserva con fastidio la svolta sovranista e nazionale impressa da Salvini. Il flop del generale Vannacci in Toscana è stato l’ultimo campanello d’allarme: la linea identitaria non funziona fuori dai confini delle storiche roccaforti. Il voto veneto, al contrario, dimostra che quando la Lega torna alla sua vocazione territoriale - amministrazione, autonomia, pragmatismo - i consensi ricominciano a correre. Un messaggio diretto, brutalmente chiaro, che molti amministratori locali sono pronti a trasformare in pressione politica.
Nei prossimi giorni si capirà se il fronte del Nord si limiterà a un brindisi o se deciderà di alzare il tiro. Molti dirigenti ritengono che il segretario non possa più ignorare la frattura strategica che attraversa il partito: da una parte il modello Zaia, dall’altra la linea salviniana che punta a un’identità nazionale difficile da rendere competitiva. Le percentuali venete offrono all’ala autonomista un argomento potente per chiedere un cambio di passo reale, non solo comunicativo. E lo stesso Salvini, che pure rivendica la vittoria, sa bene che questo risultato non lo rafforza: lo vincola.
Sul piano nazionale, intanto, lo scossone rischia di essere ancora più significativo. Veneto e Lombardia sono le due regioni cardine del potere settentrionale della coalizione. Se la Lega torna a correre in Veneto, si riapre anche la partita lombarda, dove FdI contava di avanzare pretese nuove. La premier è consapevole del fatto che una Lega ringalluzzita può trasformarsi in un alleato più esigente e meno incline a lasciar campo libero a Roma.
Anche perché il centrodestra, oggi più che mai, si muove su equilibri mobili: ogni scadenza elettorale ridisegna percentuali, ambizioni, geometrie.
Alla fine, il messaggio del Veneto è semplice nella sua portata: il modello Zaia continua a funzionare, quello salviniano arranca. E se il Carroccio vince quando il suo leader non è al centro della scena, la domanda è inevitabile: quale Lega vuole andare avanti? Quella territoriale, radicata e amministrativa, o quella nazionale e identitaria che fatica a trovare spazio? Il voto del Nordest ha già scelto.


