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Quirinale
Giuseppe Conte ha iniziato a mettere la testa fuori dal nido in cui è rimasto al riparo, con sporadiche eccezioni sin da quando è stato estromesso da palazzo Chigi. A questo punto, quindi, la costruzione della coalizione che si opporrà alla destra alle prossime elezioni dovrebbe almeno cominciare a decollare.
Il quadro, per una volta, è insieme nitido e confuso. Gli elementi confondenti sono parecchi. Nel Pd, all'offensiva, c’è una componente, quella degli ex renziani di Base riformista, attivamente impegnata nel far saltare il progetto di alleanza con i 5S.
Tra i 5S stessi il quadro resta ormai da tempo indefinito incertissimo. In tutta evidenza Conte cerca di impedire che in settembre, quando Di Battista, ha promesso di prendere una decisione sul proprio futuro, si produca una scissione che costerebbe probabilmente cara al neo Movimento di Conte, perché la parte più radicale dell'elettorato, che alla base è ben più vasta che non al vertice o nei gruppi parlamentari, potrebbe scegliere di seguire il da sempre molto amato Dibba. LeU, che somiglia ogni giorno di più a un'area che si consuma nella vana ricerca di una collocazione e di una ragion d'essere, sembra puntare sulla nascita di una terza gamba dell'alleanza compiutamente ecologista, campo nel quale mira però a mettere le tende anche Conte.
Delle tre aree l'unica strutturata e non flagellata dalla tempesta è il Pd. Eppure proprio il Pd è, per certi versi, l'anello debole dello schieramento. Letta non è riuscito a riportare sotto controllo le correnti e in particolare l'area che si oppone al fidanzamento con Conte.
L'avvocato ci ha messo del suo perché, anziché battere in breccia subito dopo la nascita del governo Draghi, quando le resistenze nel Pd non avevano ancora avuto modo di sedimentarsi e organizzarsi, ha perso tre mesi preziosi. La diversa attitudine nei confronti del governo stesso complica le cose. L'ala più radicale della ex maggioranza di Conte, composta da una parte di LeU e da parecchi 5S, subisce con insofferenza crescente le politiche di Draghi. Conte in realtà frena, per ora è fermo sulla necessità di non uscire dalla maggioranza come alcuni vorrebbero: «Dobbiamo resistere», ha risposto a chi esternava la propria insoddisfazione totale. Ma per “resistere” il futuro leader del Movimento avrebbe bisogno di una posizione compatta di tutte le forze della sua ex maggioranza, esclusa ovviamente Iv, per premere sul governo spingendolo a modificare almeno in parte l'indirizzo di fondo. Ma il Pd, che al contrario resta convinto di doversi qualificare come “il partito di Draghi” e che non ha perso le speranze di spaccare la destra per dare vita a una maggioranza Ursula con Fi, da quell'orecchio proprio non ci sente.
Ancora qualche settimana e la situazione diventerà molto più incandescente, perché l'avvio del semestre bianco e la conseguente sicurezza di non correre verso il voto anticipato spingeranno Conte e i 5S ad alzare i toni, esigenza del resto imprescindibile se l'ex premier non vuole ritrovarsi con una Rifondazione grillina a contendergli l'elettorato. Proprio negli stessi mesi arriverà al pettine il nodo della riforma della giustizia e Conte ha già ripetuto più volte, sia pure sommessamente, che su quel fronte i 5S non intendono cedere, e peraltro non potrebbero neppure se volessero.
Questo quadro confuso è tuttavia anche nitido. Per il semplice motivo che l'unica alternativa al formarsi di una coalizione composta dai partiti della ex maggioranza sarebbe rassegnarsi alla sconfitta certa. In altri momenti storici sarebbe anche stato possibile optare per una sconfitta subito con il calcolo di ricavarne poi vantaggi duraturi ma un calcolo simile in una temperie politica nella quale l'orizzonte non va di solito oltre i prossimi mesi. Dunque la coalizione non sarà una scelta ma un obbligo. Se non riusciranno a compattarla su temi propositivi, i soggetti destinati a formarla si appiglieranno all'obiettivo comodo e sempreverde di impedire che il Paese cada in mano alla destra, anzi, in questo caso, “alla peggior destra”. Cosa ci potrebbe aspettare da una coalizione incapace di andare oltre il collante anti- destra, però, è altro e meno roseo discorso.