Gogna mediatica, presunzione di innocenza, diritto alla privacy per le categorie più vulnerabili, diritto all'oblio: questi alcuni dei temi trattati ieri dal Garante per la protezione dei dati personali Pasquale Stanzione nel suo intervento in occasione della presentazione della Relazione annuale 2020: «Rispetto alla dignità delle persone soggette a misure coercitive il Garante ha riscontrato, anche quest'anno, diverse violazioni da parte dei media, tanto più gravi in quanto riguardano la persona - qualunque reato abbia commesso - in un momento di tale vulnerabilità».

Stanzione ha aggiunto: «Mai come in relazione a questi aspetti il giornalismo deve assolvere al suo alto dovere di informazione nel rispetto del canone di essenzialità, senza cedere alla tentazione della spettacolarizzazione e del sensazionalismo che rischia di far degenerare la pietra angolare delle democrazie ( la libertà d’informazione, appunto), in gogna mediatica.

Lo ha ben ricordato il Presidente della Corte costituzionale, con riferimento alla più ampia esigenza di rispetto, nell'ambito della cronaca giudiziaria, della presunzione d'innocenza in favore degli indagati». Ed infatti il presidente della Consulta Giancarlo Coraggio, nel corso della presentazione della Relazione sulla giurisprudenza costituzionale 2020, aveva detto: «Non c'è dubbio che venga calpestato il principio della presunzione di non colpevolezza» quando un indagato viene presentato come già condannato durante le conferenza stampa delle Procure. «Quindi - aveva concluso - era ora che fosse recepita la normativa europea sulla presunzione di innocenza che farà dell'Italia un Paese civile. La gogna, soprattutto mediatica, di chi è sottoposto ad indagine, di chi vede distrutta la propria vita – tra l'altro da un processo che gli dura mezza vita – è inaccettabile».

Stanzione ha poi fatto anche lui riferimento alla direttiva europea, per cui l' 8 agosto il Governo dovrà emanare il decreto legislativo di recepimento: «Ma la dignità della persona nell'ambito della giustizia penale e della sua comunicazione è assicurata, in particolare, dal rispetto della presunzione d'innocenza. Esso sarà auspicabilmente rafforzato con il recepimento della direttiva ( UE) 343/ 2016, volta a imporre agli Stati obblighi positivi di tutela del diritto degli indagati o degli imputati a non essere presentati in pubblico come colpevoli, anche mediante il ricorso a mezzi di coercizione fisica, prima dell'effettivo accertamento di responsabilità».

Il Garante ha proseguito il suo intervento sottolineando che anche ai soggetti che si trovano «in una particolare condizione di vulnerabilità quali i detenuti, i migranti ristretti nei Cpr ( Centri di permanenza per i rimpatri), gli ospiti delle Rems ( Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza)» va assicurata «la componente essenziale della dignità che è il diritto alla privacy. Diritto che fa parte, segnatamente, del “bagaglio” di diritti inviolabili che il detenuto porta con sé lungo tutto l'arco dell'esecuzione della pena ( Corte cost., sent. 26/ 1999)».

Sempre in merito al campo dove giustizia e informazione si intersecano, il Garante ha approfondito il tema del diritto all'oblio: «Rilevanti sono le decisioni assunte rispetto ai reclami ( che rappresentano una quota significativa degli 8.984 riscontri complessivamente forniti a reclami o segnalazioni). In quest'ambito si è precisato come la deindicizzazione della notizia possa rappresentare un utile strumento per coniugare la tutela dell'identità nel suo percorso dinamico e il diritto all’informazione, che verrebbe leso laddove notizie superate dall'evoluzione dei fatti venissero rimosse dagli archivi on- line dei giornali. Ad essi, del resto, la Cassazione ha riconosciuto copertura costituzionale in quanto funzionali alla ricerca storica e, ad un tempo, espressione della più generale libertà di manifestazione del pensiero.

Si è poi consolidato l'indirizzo volto a riconoscere i presupposti della deindicizzazione di notizie inerenti il procedimento penale, allorché al soggetto siano state concesse la non menzione della condanna o la riabilitazione, proprio al fine di consentirne il reinserimento sociale. Quest’obiettivo sarebbe, infatti, irrimediabilmente vanificato dall’indiscriminata reperibilità, in Rete, di quei dati giudiziari il cui oblio è necessario per consentire a ciascuno di essere anche altro da ciò che è stato. Lo sguardo solo retrospettivo della rete, annientando la complessità di ogni percorso di vita, rischia altrimenti di risolversi in uno stigma perenne e deformante, tale da privare il condannato di quella “incomprimibile possibilità di recupero” in cui si esprime la dignità ( come ha insegnato il Cardinale Martini)», ha concluso Stanzione.