Inviperita. Tanto da dimenticare le regole eterne della diplomazia che in casi come questo impongono di far finta di niente, almeno in pubblico, perché la reazione rabbiosa a uno sgarbo non fa che evidenziarlo maggiormente, e rende anche più difficile ricucire. È una lezione che Antonio Tajani conosce a memoria: la aveva messa in pratica subito, appena diventata pubblica la poco lieta novella della cena a tre, Macron ospite all'Eliseo, il tedesco Scholz e Zelensky ospiti di lusso, con l'Italia fuori dalla porta. La ha ribadita anche dopo lo sbotto della premier. Non è successo niente. Nessuna offesa. Nessuna irritazione.

Giorgia invece è peggio che irritata e non vuole nasconderlo, o non ce la fa: «L'invito di ieri mi è sembrato inopportuno. Penso che la nostra forza sia la compattezza». È chiaro che la premier italiana non se lo aspettava, non dopo aver schierato il suo già vicino a Putin partito sulle posizioni più atlantiste che ci siano nella Ue. Non dopo aver forzato la mano ai suoi ben più tiepidi alleati costringendoli a far propria quella posizione radicale, molto meno tentennante di quella di Berlino. Non dopo essersi adeguata alle direttive europee, per anni, anzi per decenni, vituperate, con una legge di bilancio ispirata più all'austerità che al semplice rigore. Salta persino il previsto bilaterale a Bruxelles: i Paesi Ue incontrano il leader ucraino a gruppi, con l'Italia infilata in uno di questi. Una cosa sono i due Paesi-guida. Un'altra e ben diversa cosa tutti gli altri.

Le ragioni del calcolato e gelido schiaffone non sono chiare né lo saranno nei prossimi giorni. Segnali del genere non si spiegano pubblicamente. L'opposizione, soprattutto il Pd, interpreta il gesto come una sorta di “punizione” per le divisioni della maggioranza: non c'è premier che tenga se sta a braccetto con Berlusconi e Salvini. Forse è davvero così ma la spiegazione suona tirata per i capelli e allestita per suonare il più utile possibile per gli argomenti dell'opposizione. Se il problema fosse davvero questo, il segnale sarebbe solo controproducente. Rafforzerebbe i frondisti a scapito dell'alleata certamente fedele.

Non è escluso, per quanto paradossale sembri, che la grottesca farsa di Sanremo ci sia entrata qualcosa. I simboli sono importanti e su quel piano la premier non è riuscita a imporre un passaggio molto meno concreto di tanti altri ma per certi versi persino più impegnativo proprio perché molto più esposto ai riflettori. Zelensky in queste cose è intransigente: chi non ricorda l'umiliazione inflitta a Draghi dopo il primo dibattito parlamentare sulla guerra? Poi non è solo questione di simboli canori. Il sesto decreto sulla consegna delle armi non è ancora stato varato. Non sarà che il freno di Arcore e di Pontida rallenta e impastoia più di quanto la bellicosa presidente voglia ammettere?

Probabilmente però c'è altro o almeno anche altro. Per l'Italia la porta della cabina di regia europea resta chiusa, e la popolarità di cui inizia a godere la presidente del consiglio italiana suggerisce di blindarla. Ammettere che l'arrivo al governo di una leader dell'estrema destra non implica alcuna minaccia per l'Unione può voler dire spalancare le porte a quelle forze affini a FdI che premono alle porte del potere in Francia e crescono in Germania.

Poi naturalmente c'è quell'incidente mai risolto con la Francia: il caso Ocean Viking. È possibile che la premier abbia sottovalutato la permalosità della Francia, non tanto con l'incidente in sé quanto rinviando la visita a Parigi su invito dell'Eliseo. Ma anche qui non è solo questione di permalosità e orgoglio malinteso. L'italiana è disposta a riconoscere il primato delle istituzioni europee, non quello dei due Paesi che l'Unione trainano. Dunque evita qualsiasi gesto che possa suonare come omaggio non alla Ue ma alla Francia. Sullo sfondo si staglia la partita più importante, quella per la ridefinizione della Ue, dagli aiuti di Stato alla revisione dei trattati. È una partita dalla quale l'Italia di Giorgia Meloni rischia di uscire con le ossa rotte nonostante le molte prove d'amore che la Sorella d'Italia ha accettato di offrire.