Nessun fuggi fuggi generale, ma la presa d’atto di un malessere interno che se non gestito a dovere potrebbe provocare altri addii. Il giorno dopo l’uscita del senatore Enrico Borghi in direzione Italia viva e delle voci di un’imminente approdo dell’europarlamentare Caterina Chinnici in Forza Italia, nel Pd ci si interroga sui prossimi passi fa fare per contrastare l’emorragia ed evitare che alla crescita nelle intenzioni di voto corrisponda una perdita di dirigenti e parlamentari.

Il tutto con tanto di botta e risposta tra i cosiddetti riformisti del Pd (o ex) e dirigenti che, come Andrea Orlando, si trovano certo più a proprio agio in un Nazareno guidato da Elly Schlein che nelle passate segreterie. «Ci sono molti riformisti: sarei curioso di sapere che riforme hanno fatto di preciso…», ha scritto su twitter provocando la risposta stizzita di alcuni ex colleghi. «Le riforme del governo Renzi hanno fatto storia, le riforme del decennale pluriministro Orlando sono ancora materia sconosciuta», spiega Nicola Danti, europarlamentare di Iv e vicepresidente di Renew Europe, mentre per l’ex senatore dem Andrea Marcucci Orlando «è praticamente nato ministro, è stato ministro a tutto e ora chiede agli altri cosa hanno fatto». Con tanto di richiesta all’ex ministro della Giustizia sulle sue riforme, «o forse era distratto».

Scontata la riforma di Orlando che elenca una serie di riforma per poi aggiungere di non aver «mai avuto la pretesa di ergermi a depositario del riformismo» sapendo che «le riforme possono avere esiti molto diversi».

A farsi sentire sui social anche un altro esponente di spicco dei dem, quel Matteo Orfini che per quasi cinque anni è stato presidente del partito e che è sempre rimasto nel Pd sia in maggioranza che all’opposizione, anche quando ha perso dei Congressi come l’ultimo, nel quale sosteneva Stefano Bonaccini.

«So bene quanto possa essere complicata la nostra dialettica interna e non sottovaluto sofferenze e malesseri che ciclicamente emergono tra noi - ha scritto su Fb - Ma che a poche settimane dall'avvio di una nuova fase si esca dal Pd ( o si minacci di farlo) denunciando una mutazione genetica del partito è onestamente incomprensibile e strumentale».

E mentre il dibattito prosegue, con deputati e senatori che in Transatlantico di Montecitorio e nel salone Garibaldi di palazzo Madama sfuggono come lucertole a chi chiede loro se saranno i prossimi ad andarsene ( «Chi, io? Ma quando mai», si difende Piero De Luca), non si fermano le accuse allo stesso Borghi per la sua scelta di non dimettersi dal Copasir. «Sappiamo bene che formalmente nulla impedisce al collega Borghi di rimanere al Copasir: il regolamento parla chiaro, cinque membri della maggioranza e cinque dell’opposizione e l'equilibrio è rimasto - ha spiegato l’ex capogruppo dem al Senato, Simona Malpezzi - Ma almeno ricordi che se è vero che la nomina è del presidente del Senato, l’indicazione viene data dai gruppi parlamentari».

Per poi aggiungere che «il suo nome è stato indicato dal gruppo del senato del Pd con tanto di firma della sottoscritta» e che «sarebbe opportuno che, in nome di quello stile che il collega ha sempre difeso nello stare nelle Istituzioni, si dimettesse». E si schiera anche Chiara Gribaudo, vicepresidente del partito e vicinissima alla segretaria Elly Schlein. «Francamente sono amareggiata come tutti - ha detto commentando gli addii - ma, citando Guccini, “ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare, ma non raccontare a me che cos'è la libertà”».

E per fortuna che ci si mette il governo a distrarre dalla ricerca del prossimo fuoriuscito dal Pd, con la bocciatura alla Camera della risoluzione di maggioranza sullo scostamento di bilancio, che non è passata per sei voti. Per il responsabile Economia dei dem, Antonio Misiani, si tratta di «una figuraccia senza precedenti» mentre per il capogruppo al Senato Francesco Boccia la maggioranza «è in imbarazzo totale».