L’Eterno congresso del Partito democratico è già ricominciato. Resterà contenuto e sottotraccia fino alle elezioni, poi esploderà con intensità e drammaticità condizionate da tre risultati elettorali. Il primo sarà il responso delle urne per il partito e per la coalizione. Letta punta a toccare il 30 per cento con la pur debole alleanza che ha costruito. Il grosso di quella percentuale andrebbe alla lista Democratici e Progressisti, che ambisce a superare il 26 per cento e a qualificarsi come prima assoluta in termini di singole liste. Nelle previsioni del Nazareno i parlamentari di quel gruppo dovrebbero essere 140: meno del 25 per cento del totale ma non molti meno di quelli di cui il Partito democratico disponeva in questa legislatura dopo la scissione di Iv. In questo modo il segretario potrà vantare alcuni risultati sonori e l'aver risollevato il partito dal minimo storico a cui lo aveva portato Renzi nel 2018. Sarà senza dubbio uno scudo ma non sufficiente a metterlo al riparo dagli attacchi. Nelle elezioni politiche conta il risultato complessivo e neppure le vette raggiunte nel 2008 da Veltroni, in seguito mai neppure sfiorate, salvarono il primo segretario del Pd. Ne prolungarono solo di qualche mese l'agonia. Il secondo dato rilevante sarà dunque proprio il risultato complessivo. Tanto più soverchiante sarà la destra, tanto più debole si scoprirà nel day after Letta. In una vittoria di stretta misura della coalizione guidata da Giorgia Meloni nessuno osa sperare ma se la destra non raggiungerà i 2/3, e non si avvicinerà troppo a quella soglia, il segretario potrà rivendicare il merito di aver almeno evitato la rotta scomposta. Il terzo fattore chiave sarà il successo o l'insuccesso del Terzo Polo di Calenda e Renzi. Se la loro lista andrà bene, avvicinandosi almeno al 10 per cento, il colpo per la segreteria sarà fatale. A Letta verrà rinfacciato seduta stante l'aver sbagliato completamente la scelta delle alleanze nella fase confusa e a tratti smarrita seguita alla crisi. Ma le critiche ci saranno in ogni caso. A variare a seconda degli esiti del voto sarà solo la loro virulenza. Nessuno o quasi, però, metterà Letta sul banco degli accusati per non aver cercato di formare un vero “Fronte repubblicano” antidestra con all'interno anche la componente essenziale del Movimento Cinque Stelle. Giusta o sbagliata che sia, quella decisione è stata condivisa dall'intero partito e rivendicata pubblicamente da tutti. Da quel punto di vista il segretario corre pochi rischi. Il discorso è però opposto quando si passa alla composizione dell'alleanza. E' impossibile, non solo difficile, capire con quale logica il segretario abbia scelto di sacrificare un'alleanza di governo fondamentalmente omogenea e credibile come quella con Calenda per stringerne un'altra con Sinistra italiana e Verdi disomogenea, contraddittoria e addirittura annunciata come un espediente senza progetti di governo comune. È vero che l'Agenda Draghi è solo uno slogan. Però è anche vero che quello slogan indica un terreno comune sul quale si muovono Partito democratico e “terzopolisti”, tanto che il principale danno che la lista di Calenda e Renzi può arrecare al Pd è proprio una contesa nei collegi considerati sicuri, nella stragrande maggioranza quelli Ztl, che potrebbe costare al Nazareno molto cara. Se il voto dimostrerà che quel prezzo è stato pagato, in concreto che l'alleanza con Calenda invece che con Fratoianni e Bonelli avrebbe permesso la vittoria in un numero sensibilmente maggiore di collegi uninominali, la requisitoria contro Enrico Letta sarà immediata e durissima. La mancata alleanza con Azione implica però un ulteriore danno, meno evidente ma forse non meno grave. Quell'alleanza avrebbe infatti catapultato fuori dall'agone politico Matteo Renzi, le cui probabilità di superare solo con la sua Italia Viva la soglia del 3 per cento erano molto limitate. La rottura tra Partito democratico e Calenda e la conseguente nascita del Terzo Polo hanno rimesso in campo il ragazzo di Rignano che ha ora ampie probabilità di oltrepassare forse anche di parecchio quella soglia. Nel congresso che inevitabilmente attende il partito di Letta, l'ex segretario inciderà parecchio, almeno se potrà sbandierare risultati positivi per il suo Terzo Polo. Ad aprire il fuco, infatti, saranno proprio gli ex renziani rinfacciando a Letta la mancata alleanza con Calenda come errore alla radice di un'eventuale vittoria straripante della destra. Per la verità lo hanno già fatto: con il durissimo attacco di Bonaccini, il presidente dell'Emilia-Romagna che in caso di caduta di Letta sarebbe probabilmente il candidato dell'ala destra e più vicina a Renzi e Calenda del Partito democratico.