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giorgia meloni draghi
Giorgia Meloni sta scoprendo in queste ore quanto sia difficile procedere su binari diversi cercando di renderli paralleli. Nelle tensioni degli ultimi giorni, destinate a proseguire nei prossimi, non c'è in ballo solo una classica questione di poltrone da spartirsi, per quanto naturalmente il particolare abbia avuto e abbia un grosso peso. Ma questa sarebbe la norma. In questo caso invece la posta in gioco è più alta: è la natura stessa del governo. La futura premier ha in mente una sorta di inedito modello doppio: fortemente politico e a tratti decisamente identitario di destra ma anche pragmatico, quasi tecnico, nella prima linea delle emergenze reali, immediate, urgentissime.
L'esecutivo e lo stile di governo che Giorgia Meloni ha in mente coniuga Vox e Mario Draghi, l'identità radicale di destra rivendicata blindando la fiamma e appoggiando a viso aperto i partiti europei affini e il pragmatismo attento ai conti e agli equilibri europei dell'ex premier. La candidatura di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato è da questo punto di vista più significativa e più eloquente della rivendicazione di continuità con la fiamma di Giorgio Almirante o dei comiziacci in spagnolo, che non sono affatto strilli dal sen fuggiti ma veicolano al contrario una precisa strategia comunicativa.
Ignazio La Russa, in Parlamento dal 1992, non ha bisogno di legittimazioni o di abiure. È stato capogruppo e ministro, tra i più influenti colonnelli di Fini nell'epoca d'oro di Alleanza nazionale. Ma è sempre stato uno dei leader della destra della seconda Repubblica più legato a quella della prima Repubblica, dunque del Msi, e va detto a suo onore che non lo ha mai nascosto.
La scelta di puntare su di lui non per un ministero ma per la carica di secondo cittadino dello Stato ha un senso inequivocabile. Mettendo in campo proprio lui, La Russa, esattamente come con la difesa della Fiamma e con gli interventi di appoggio alla destra spagnola o polacca, la leader di un partito nato come Rifondazione missina lancia un segnale preciso alla sua base più fedele, lo zoccolo duro che c'era anche prima dell'improvvisa impennata nei consensi, i rifondatori del Msi. L'orizzonte e i valori, la mèta, non sono cambiati, l'identità è antica. Però governare significa fare i conti con il presente immediato e all'uopo il metodo Draghi, e i buoni rapporti con il mondo europeo di Draghi, sono più utili, sono quel che serve.
La strategia di Giorgia Meloni è comprensibile e non riducibile a camuffamenti cosmetici. Si tratta davvero di “Rinnovare senza rinnegare”, secondo il dettato del vecchio Msi nei confronti del ventennio adeguato al presente. Ma si tratta anche di una sfida molto rischiosa e lo si è visto bene in questi giorni. Prima di tutto sul fronte della maggioranza. Il metodo che Giorgia cerca di mutuare da Draghi (e in parte anche dal Conte 2) implica infatti un primato assoluto del premier al quale spetta sempre e comunque l'ultima parola. Ma per quanto brillante sia stata la sua vittoria elettorale, la leader di Fratelli d'Italia non può contare su una forza personale paragonabile a quella di Draghi nel suo anno e mezzo di governo. Inoltre la scelta di stemperare nei fatti il connotato politico del governo risponde certamente agli interessi di Fratelli d'Italia. Non a quelli di Forza Italia e soprattutto non a quelli della Lega.
La scelta del doppio binario, inoltre, non permette strappi tali da rassicurare davvero le capitali europee, soprattutto Parigi e Berlino. Affidabile sul piano atlantista, che oggi è di gran lunga quello principale ma potrebbe non esserlo più domani, la donna che si profila oggi come leader della destra non solo italiana ma continentale è destinata a non esserlo mai sul piano europeo, dunque sempre a rischio di brutte sorprese.
L'arma più forte di cui la futura premier disporrebbe per fronteggiare le possibili manovre di quanti, in Italia e all'estero, mirano a rendere brevissimo il suo soggiorno a palazzo Chigi sarebbe la compattezza della maggioranza, senza una cui divisione nessuna manovra può riuscire. Ma proprio la decisione di fare proprio, almeno in una certa misura, il metodo Draghi minaccia oggi proprio quella compattezza.
Naturalmente il governo nascerà, le presidenze saranno rapidamente assegnate, i malumori sui ministeri, in fondo fisiologici, si cheteranno. Ma la divaricazione che è trapelata nelle ultime settimane è politica e strategica, non effimera, e dunque è destinata a riproporsi a ripetizione, tanto più in una fase di estrema difficoltà come questa. Se non riuscirà a ricomporla subito, la presidente Meloni non avrà una vita facile.