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C’è una parte del Movimento 5 Stelle che vuol mandare a casa Draghi. E questo è chiaro. C’è poi una parte del centrodestra, in primis la Lega, ma anche Forza Italia, che non vorrebbe mandare a casa Draghi, ma che vorrebbe approfittare della caduta dell’ex presidente della Bce, provocata dal M5S, per andare al voto anticipato, che li vedrebbe quasi certamente vincitori. E non di poco. È tutta qui la spiegazione di ciò che è accaduto nei corridoi dei palazzi del potere, dopo che è stato deciso che alle comunicazioni del presidente del Consiglio, seguirà un voto di fiducia. Che si svolgerà prima a palazzo Madama, come da accordi tra il presidente della Camera, Roberto Fico, e la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati. Ma se l’ordine di comparsa dell’inquilino di palazzo Chigi in Parlamento può essere giudicata una pura formalità, in tempi normali, ha provocato uno sconquasso nelle già torbide acque della (fu?) maggioranza di governo, con tanto di scontro verbale tra la Lega, da un lato, e il Pd e il M5S dall’altro. Motivo del contendere proprio la sequenza del voto. Durante la Capigruppo, M5S e Pd avevano chiesto che Draghi si recasse prima a Montecitorio, cioè dove si sono manifestati i primi segnali di crisi per la decisione pentastellata di non partecipare alla votazione finale sul Dl Aiuti. Politicamente questo avrebbe significato la possibilità per una parte dei deputati grillini, circa un ventina, guidati dall’attuale capogruppo M5S, Davide Crippa, di staccarsi dal proprio gruppo e votare la fiducia a Draghi. Un segnale inequivocabile per il presidente del Consiglio e diverso da quello che invece arriverà a palazzo Madama, dove i senatori grillini pronti a rimanere nel governo si contano sulle dita di una mano. Con il rischio che le tensioni non si placherebbero e torneremmo al punto di partenza. Cioè alle dimissioni di Draghi e alla possibilità del voto anticipato. Possibilità che, come detto, non dispiacerebbe affatto al centrodestra, che infatti ha subito respinto il tentativo dem-grillino. «Siamo alla farsa, ora Pd e M5S chiedono a Draghi di comunicare prima alla Camera e poi al Senato solamente perché Conte è più debole alla Camera - hanno detto a metà giornata Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, capigruppo della Lega di Camera e Senato - Giochini vergognosi che vanno contro la prassi che vuole che le comunicazioni del presidente del Consiglio siano fatte nella camera di prima fiducia o dove si è generata la crisi, in entrambi i casi, quindi, al Senato: gli italiani meritano rispetto, serietà e certezze». E infatti proprio la prassi è ciò che hanno seguito Fico e Casellati, mettendo un punto alla polemica e fissando per questa mattina l’intervento di Draghi prima a palazzo Madama, poi a Montecitorio. Ma quella sulle dinamiche parlamentari non è stata l’unica polemica di giornata tra centrodestra e centrosinistra, ormai su linee diametralmente opposte circa il futuro di questa crisi di governo. Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha riunito prima i suoi dirigenti poi i parlamentari del Carroccio per ribadire la linea decisa con Silvio Berlusconi domenica a villa Certosa: o un Draghi bis senza Movimento 5 Stelle, o voto. E anche lo stesso leader di Forza Italia è arrivato a Roma per riunire i quadri del partito e ripetere la medesima strategia. Che invece il Pd rifugge, cercando in tutti i modi di riportare nei ranghi la maggioranza che ha sostenuto il governo fino alla settimana scorsa, cioè compreso il M5S. Punto di caduta di queste due linee politiche potrebbe essere la fuoriuscita di un gruppo consistente di parlamentari grillini, così che il governo possa ottenere non proprio la stessa maggioranza di prima ma una simile, senza la fronda capitanata dal leader M5S, Giuseppe Conte. Certo ci sarebbe da verificar l’ok di Draghi, che sin qui ha sempre sostenuto di voler proseguire soltanto con la stessa maggioranza che ha dato per la prima volta la fiducia al suo governo ormai quasi un anno e mezzo fa. Ma il vero problema è che la “fronda” grillina pronta a votare la fiducia a Draghi è in realtà una minoranza, e questo impedirebbe qualsiasi scenario che faccia cambiare idea al presidente del Consiglio rispetto alle dimissioni presentate al capo dello Stato, e respinte, una settimana fa. Poche ore e sapremo (forse) come va a finire.