Nonostante la strage di Cutro e nonostante il decreto licenziato dal governo al gran completo in Calabria, la partita tra Fratelli d’Italia e Lega sui migranti è tutt’altro che chiusa. Gli sbarchi sulle nostre coste continuano ad aumentare - grazie anche alle operazioni di salvataggio di Guardia costiera e Marina militare - e Matteo Salvini non ha alcuna intenzione di mollare la bandiera della tolleranza zero su un tema così identitario. Tanto da rendere necessario un vertice a Palazzo Chigi ieri mattina tra la premier Giorgia Meloni, i vertici dell'intelligence, i ministri della Difesa e dell'Interno Guido Crosetto e Matteo Piantedosi, e i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, videocollegati perché impegnati in missioni all'estero.

Tra le ipotesi tornate sul tavolo: schierare le navi della Marina per contrastare il flusso degli arrivi. L’idea non è nuova, era presente infatti nella prima bozza del decreto Cutro, poi sparita dalla versione “definitiva” per volere della Lega, che avrebbe perso il monopolio della sorveglianza in mare, attualmente gestito dalla Guardia costiera, inquadrata funzionalmente e organizzativamente nell’ambito del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, al cui vertice c’è proprio il leader del Carroccio.

Delegare alla Marina militare le funzioni di sorveglianza significherebbe far passare la competenza a un altro ministero, quello della Difesa, guidato da un meloniano doc: Crosetto. Dal canto suo, l’esponente di Fd’I, si dice convinto che «l'aumento esponenziale del fenomeno migratorio che parte dalle coste africane sia anche, in misura non indifferente, parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando, utilizzando il suo peso rilevante in alcuni Paesi africani», dice Crosetto. E, visto che dietro agli sbarchi incontrollati ci sarebbero gli uomini di Putin, il ministro della Difesa augura una maggiore vigilanza da parte di Nato e Unione europea. Bisognerà vedere cosa ne pena Salvini, intenzionato a dare battaglia sui migranti.

Indipendentemente dalle norme approvate a Cutro, l’obiettivo della Lega resta uno: ripristinare i decreti sicurezza firmati dal “capitano” all’epoca del Conte uno. Non basta mostrare il pugno di ferro, serve combattere il “buonismo” dell’accoglienza come ai vecchi tempi, rendendo impossibile, se necessario, la regolarizzazione dei “clandestini”. Per capirlo basta ascoltare le parole del sottosegretario all’Interno, Nicola Molteni, che intervistato dalla Stampa chiede espressamente l’abolizione della “protezione speciale”. «Credo che tutti siano consapevoli della necessità di intervenire per fermare quella che ormai è diventata una forma di sanatoria illegale, perché favorisce la concessione di permessi di soggiorno che vanno ben oltre la definizione di protezione internazionale», ha spiegato il sottosegretario leghista. «Dobbiamo garantire lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria, cioè accogliere chi scappa da guerre e persecuzioni. Il resto è un di più e può essere cancellato». Tradotto: bisogna tornare ai decreti sicurezza di Salvini, che avevano di fatto cancellato la protezione umanitaria (in vigore prima dell’arrivo del leghista al Viminale). Le forti limitazioni già inserite nel decreto calabrese evidentemente non bastano. I leghisti vogliono che dall’oggi al domani diventino clandestine le circa 10mila persone che attualmente vivono e lavorano nel nostro Paese proprio grazie alla protezione speciale. Peccato che, ci spiega il giurista Fulvio Vassallo Paleologo, «secondo la giurisprudenza italiana e la legge attuale, la protezione umanitaria costituisce un'applicazione dell'articolo 10 della Costituzione, che ha una portata più ampia della Convenzione di Ginevra».

La legge che la Lega vorrebbe abrogare, infatti, «protegge la persona dall'espulsione o dal respingimento verso uno Stato in cui possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione», recita il testo. Roba da “buonisti”, secondo chi, sulla pelle di chi scappa gioca al braccio di ferro con un alleato di governo.