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Alla fine Beppe Grillo ha deciso di fidarsi di Giuseppe Conte e dei suoi legali: presentare al Tribunale immediata istanza di revoca dell’ordinanza che ha decapitato il Movimento, alla luce di un “nuovo” documento, un regolamento del 2018 spuntato all’improvviso, che certificherebbe «la piena regolarità» delle delibere contestate. Una soluzione da azzeccagarbugli, insomma, che non risolve neanche lontanamente il problema politico del Movimento: la convivenza bellicosa tra Conte e Luigi Di Maio.
Il garante, per adesso, si accontenta di risolvere ( o di tentare di farlo) almeno la questione più urgente che ripristini «il sistema immunitario del Movimento». Sul resto si ragionerà dopo. La partita dunque prosegue a colpi di carte bollate. La tesi del presidente congelato è che la scelta di escludere dal voto gli attivisti con anzianità di militanza inferiore ai sei mesi sarebbe legittimata da un regolamento approvato nel novembre del 2018 e ancora in vigore. A dimostrare l’esistenza del documento ci sarebbe uno scambio di email tra Vito Crimi, all’epoca presidente del Comitato di garanzia, e Luigi Di Maio, primo capo politico pentastellato. Con una lettera elettronica l’allora numero uno dei 5S propone a Crimi di introdurre il criterio dell’anzianità di iscrizione anche per le votazioni in assemblea, ricevendo l’ok del suo interlocutore. Secondo la difesa di Conte, tanto basta per considerare la norma valida. Una deduzione che però non convince molto gli attivisti che hanno promosso il ricorso. Perché, pur volendo credere all’esistenza del regolamento approvato via email, gli esclusi dal voto non capiscono come mai questo documento sia spuntato dal nulla. Come è possibile, è il ragionamento dei ricorrenti, che i vertici pentastellati non fossero a conoscenza di una norma interna al loro stesso partito? La strana scoperta postuma, in poche parole, secondo la linea difesensiva degli attivisti etromessi, non dovrebbe essere considerata una “prova” sopravvenuta e per questo non dovrebbe modificare di una virgola la decisione del Tribunale di Napoli. Anche se esistesse un regolamento datato 2018, è la convizione, non sarebbe ammissibile perché nessuno lo aveva citato al momento della contestazione, come onere processuale della controparte.
Sarà un giudice a stabilire chi ha ragione. Ma anche se Conte tornasse in sella al Movimento senza nemmeno la necessità di ripetere la votazione allargando la base elettorale, le ferite pentastellate non verrebbero comunque rimarginate. Restano aperti tutti gli squarci che hanno segnato il cammino della prima forza parlamentare nelle ultime settimane. A cominciare dal rapporto tra il presidente e il ministro degli Esteri. Dopo la partita del Quirinale, culminata con l’elezione di Mattarella e la pubblica sconfessione di Conte da parte di Di Maio, tra i due è calato un gelo fatto di accuse, minacce e controrepliche alla luce del sole. Un duello culminato con le dimissioni irrevocabili del ministro dalla presidenza del Comitato di garanzia ( un attimo primo che il Tribunale dichiarasse decaduto anche questo organismo). Impensabile, al momento, un riavvicinamento delle parti. E in molti, all’interno del Movimento, sono convinti che l’ex capo politico stia già lavorando sottotraccia per logorare la leadership di Conte entro le prossime elezioni politiche. Sono tanti, del resto, i possibili inciampi disseminati sul cammino dell’avvocato del popolo. A partire dalle Amministrative della prossima primavera. Una probabile debacle pentastellata sarebbe già un buon pretesto per puntare l’indice contro la testa del partito. L’obiettivo, secondo la ricostruzione di alcuni parlamentari, sarebbe di impedire al leader di compilare le liste elettorali ed esercitare il potere di deroga sul terzo mandato. In troppi rischierebbero di rimanere esclusi dagli elenchi, Di Maio compreso. Un’eventualità da scongiurare a ogni costo per il ministro e per un corposo esercito di parlamentari al secondo mandato. La guerra, insomma, è appena cominciata. E l’ordinanza di Napoli è solo uno dei campi di battaglia in cui si consumerà la contesa. Di certo, non il più pericoloso.