L’unico punto fermo è che Giorgia Meloni entrando ieri mattina alla Camera, per recarsi negli uffici di Fratelli d’Italia, tende a smussare le frizioni sul Pnrr con Mario Draghi, con il quale afferma che «non c’è scontro». Ma sottolinea: «Dobbiamo fare ancora meglio. Lo diciamo con spirito costruttivo».

Quanto alla squadra per il futuro governo, dentro FdI ripetono come un mantra che la presidente, nel rispetto delle regole istituzionali e quindi in attesa dell’incarico da parte del Capo dello Stato, sta affrontando «i dossier più delicati, a cominciare dall’emergenza del caro bollette». Ma è facilmente immaginabile che Meloni stia ascoltando le proposte che le vengono dagli alleati sulla formazione del futuro esecutivo di centrodestra a guida FdI.

Il toto-nomi però inevitabilmente continua sotto traccia. Sui ministeri chiave guidati da “tecnici”, la cui presenza non è gradita alla Lega e a Forza Italia che hanno chiesto un governo politico, tranne, per FI, poche eccezioni, i rumors, da prendere sempre come tali, registrano una novità. Viene dato in pole il vicepresidente e coordinatore di FI Antonio Tajani agli Esteri. Si tratta del ministero che con quelli dell’Economia, dell’Interno e della Difesa era stato messo in quota tecnica.

Il braccio di ferro non c’è soltanto da parte della Lega che reclama per Matteo Salvini il Viminale, anche Silvio Berlusconi evidentemente vuole un suo rappresentante in un ministero chiave. Il Cav resta molto guardingo per evitare il rischio che si ripeta quel che accadde con il governo Draghi, da lui per primo auspicato, ma dove poi vennero di fatto scelti ministri non concordati con lui. Sarebbe stato fatto presente da Arcore che Tajani ha i requisiti incontestabili per ricoprire la guida della Farnesina.

Il numero due azzurro eletto ora alla Camera mantiene l’incarico di vicepresidente del Ppe, il partito di Ursula von der Leyen e della presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, e ha un curriculum di peso tutto in Europa: prima commissario in vari settori, poi presidente dell’Asssemblea di Strasburgo. Risalgono anche le quotazioni della senatrice Licia Ronzulli, stretta collaboratrice di Berlusconi, per il ministero della Famiglia. Nella rosa di Berlusconi per un ruolo di governo c’è anche Alessandro Cattaneo, capo dei dipartimenti azzurri, ex sindaco più giovane d’Italia a Pavia.

Quanto al Viminale, la Lega resta ferma alle parole del capogruppo alla Camera Riccardo Molinari e del vicesegretario del partito e ministro del governo uscente Giancarlo Giorgetti, dopo il consiglio federale: «Quello è il ruolo più idoneo, il ruolo più naturale per Salvini». Evidente che la Lega tiene il punto. Perché se ci fossero veti (smentiti però ufficialmente da FdI sia con Ignazio La Russa sia con il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida) ovvio che il negoziato non facilissimo non potrebbe che ripartire da quella casella. E nel caso che al Viminale dovesse andare il prefetto Matteo Piantedosi, che già collaborò con Salvini durante il governo Conte/ 1, la Lega quale ministero “di peso” potrebbe a quel punto chiedere per il suo leader? I rumors parlano anche di quello del Lavoro, oltre che delle Infrastrutture.

Ci sono poi gli altri dicasteri che la Lega ha messo al centro delle sue attenzioni, presentati senza nomi alla di fatto premier in pectore: Agricoltura dove sarebbe in pole Gianmarco Centinaio, Disabilità, Affari regionali. In quest’ultimo ministero si fa il nome della già ministro dell’esecutivo Draghi, la veneta Erika Stefani. Un nomina questa che sarebbe molto gradita al governatore leghista del Veneto Luca Zaia, che ha in cima alla sua agenda l’attuazione dell’Autonomia differenziata, già in Costituzione. E che in Veneto vinse con cifre “bulgare” al referendum del 2017.

Per le guide dei due rami del nuovo Parlamento che debutterà il 13 ottobre restano in pole Giorgetti per la Camera e La Russa per il Senato. Ma nell’ambito del toto- nomi, che rischia di cambiare di giorno in giorno, queste ultime due ipotesi sarebbero da prendere particolarmente con le molle. Perché per il Senato non sono esclusi i nomi neppure del leghista storico e attuale vicepresidente di Palazzo Madama Roberto Calderoli e anche dell’attuale capogruppo azzurra Annamaria Bernini. Insomma, un risiko che alla fine non renderebbe certo neppure il nome di Giorgetti per Montecitorio.