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A sentire le reazioni della politica sembra non ci fosse partito in Parlamento pronto a sostenere le rivendicazioni dei 422 lavoratori Gkn, licenziati in piena estate per email. Ma è stato un tribunale a obbligare la multinazionale controllata dal fondo britannico Melrose di stanza a Campi Bisenzio a tornare sui propri passi. Ma il grosso delle belle parole di solidarietà e soddisfazione per la “vittoria operaia” arriva da leader della maggioranza, capi politici che dentro Palazzo Chigi sono rappresentati da ministri e sottosegretari, persone che dalla plancia di comando avrebbero dovuto gestire e risolvere una crisi ben prima dell’intervento della magistratura. I partiti invece latitano, fuggono dalle contraddizioni, e dunque dalla società, svuotano da soli il principio stesso della rappresentanza che giustifica la loro esistenza. Eppure la mobilitazione dei lavarotari Gkn andava avanti da settimane nell’indifferenza generale, lontano dai riflettori ma non per questo incapace di esprimere conflitto e partecipazione diffusa, sfociata in un corteo di 25 mila persone a Firenze sabato scorso. Ma fino a oggi a sostenere le tute blu in agitazione c’erano solo i sindacati, con la Fiom in testa, se si escludono attestati di vicinanza teorica piovuti un po’ da ogni dove. La politica, salvo rare eccezioni, lascia ancora una volta un vuoto che tocca ad altri colmare. E come spesso già accaduto nella storia di questo Paese è la magistratura a farsi carico di una scelta dovuta, intervenendo ex post, perché ex ante nessuno ha mosso un dito. Il Tribunale di Firenze ha accolto il ricorso presentato dalla Fiom per il licenziamento via email di 422 operai perché Gkn avrebbe violato «i diritti del sindacato, messo davanti al fatto compiuto e privato della facoltà di intervenire sull'iter di formazione della decisione». In altre parole, l’azienda avrebbe tenuto un comportamento antisindacale sanzionabile, venendo meno al «democratico e costruttivo confronto che dovrebbe caratterizzare le posizioni delle parti». Non si può decidere di delocalizzare, lasciando a casa centinaia di famiglie, senza nemmeno sedersi a un tavolo con le rappresentanze dei lavoratori, rifiutando persino l’attivazione della cassa integrazione proposta dal governo. A maggior ragione se, come nel caso della multinazionale dell’automotive, hai preso «più di 3 milioni di euro di contributi pubblici negli ultimi anni», come spiegato un mesetto fa dalla viceministra allo Sviluppo economico Alessandra Todde.Dalle email di licenziamento sono passai ormai due mesi, durante i quali i tavoli di confronto tra esecutivo e proprietà non hanno prodotto risultati, per l’ostinazione della multinazionale a non accettare alcuna trattativa. Per questo, per la giudice del lavoro Anita Maria Brigida Davia «pur non essendo in discussione la discrezionalità dell’imprenditore rispetto alla decisione di cessare l’attività di impresa, nondimeno la scelta imprenditoriale deve essere attuata con modalità rispettose di principi di buona fede e correttezza contrattuale, nonché del ruolo edelle prerogative del sindacato». Buona fede e correttezza che per il Tribunale la Gkn non ha mostrato. Dal canto suo l’azienda è costretta a revocare i 422 licenziamenti ma «senza che questo possa considerarsi acquiescenza» e con la più ampia «riserva di impugnazione». E in attesa dell’eventuale impugnazione, la multinazionale fa sapere che non si sottrarrà al confronto col Mise. Nel frattempo i partiti finalmente si espongono. «Il Tribunale di Firenze ha confermato quello che i lavoratori, i sindacati e noi abbiamo sempre detto dall’inizio, cioè che il comportamento della multinazionale è stato non solo inaccettabile, ma che ha violato tutte le norme», dice il segretario del Pd Enrico Letta. «La decisione del Tribunale di Firenze conferma quello che pensavamo», aggiunge il numero uno del Nazareno. Anche Giuseppe Conte si unisce al coro di chi ritiene che la sentenza «sancisce che i diritti dei lavoratori non vanno calpestati». E il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, il numero due della Lega sul cui tavolo era finita la vertenza Gkn, esulta per una sentenza in grado di ribadire «che in Italia le regole ci sono, questo non è il far west e tutti devono rispettarle. Questo è un primo passo per ristabilire un ordinato sistema di cose», dice il ministro . L’unico a fare autocritica, tra gli esponenti della maggioranza, è il forzista Elio Vito, che ammette amaro: «Al di là del merito della complessa vicenda, è evidente che si tratta di una sconfitta per la politica, per tutta la politica, che non ha saputo intervenire su una questione di grande impatto sociale», dice Vito. «Così, allo stesso modo, ora sembra che i problemi della politica possano derivare dai referendum e dalla firma digitale, e non da un Parlamento che non fa più leggi!». Come quella, invocata da più parti, a partire dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, ma ancora in alto mare sulle delocalizzazioni. Per il momento il sindacato può tirare un sospiro di sollievo. «I licenziamenti alla Gkn sono illegittimi», dice il segretario della Fiom Firenze, Daniele Calosi. «Ora tocca alla politica, mantenga le promesse».