«La riforma della giustizia è una priorità, è una di quelle riforme per le quali serve un governo coraggioso e deciso, e il coraggio e la decisione non ci difettano». Così ieri la premier Giorgia Meloni nella conferenza stampa di fine anno. Il suo messaggio sembra chiaro: andremo avanti anche con quelle riforme che possono essere considerate invise da parte della magistratura: immaginiamo, ad esempio, quelle di matrice costituzionale.

«Nei prossimi mesi – ha infatti proseguito la presidente del Consiglio – lavoreremo per mettere a punto la riforma della giustizia secondo capisaldi che sono quelli storici del centrodestra, penso alla separazione delle carriere». Anche perché, ha sottolineato, «abbiamo scelto un ottimo ministro della Giustizia che è coadiuvato dai partiti della maggioranza, e che è molto deciso ad andare avanti».

Su questo non avevamo dubbi viste le dichiarazioni - e il tono che le ha accompagnate - del guardasigilli in queste ultime settimane. Ma, se all’inizio del mandato, Nordio aveva lasciato intendere che le riforme costituzionali non sarebbero state tra le priorità perché bisognava prima concentrarsi su come far lavorare meglio gli uffici giudiziari, ora Meloni fa un balzo in avanti e parla di “mesi”. Da una parte l’accelerazione su questo obiettivo potrebbe mettere in allarme la magistratura associata, tanto è vero che il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, in una intervista a questo giornale, non aveva escluso uno sciopero qualora il governo si fosse deciso a proseguire con determinati provvedimenti che «cambierebbero l’assetto di questa democrazia», ci disse il vertice del ‘ sindacato’ delle toghe.

Dall’altra parte è pur vero che la premier, oltre al termine «coraggio» ha evocato anche il paradigma dell’equilibrio: «Ovviamente» quella della giustizia «è una materia delicata che va maneggiata con molta cura: però credo che questo governo, mettendo insieme le anime della sua maggioranza, abbia complessivamente una visione molto equilibrata di questa materia». Questo, ha proseguito Meloni, «penso possa aiutare l’Italia nel rapporto tra il cittadino e lo Stato, gli investimenti, il Pnnr, tutto quello che una giustizia un po’ lenta in questi anni ha limitato. Una giustizia che ha bisogno di un tagliando».

Insomma, la giustizia va riformata ma non creando frizioni pericolose con uno degli attori interessati, la magistratura. Si tratta un po’ dell’interpretazione che aveva dato qualche giorno fa, sempre a questo giornale, il professor Giorgio Spangher quando, riflettendo sull’avvio di Nordio a via Arenula, aveva sottolineato «il suo intimo e forte convincimento riformatore» ma accompagnato dal dialogo, «preannunciando» ad esempio «la convocazione in tempi brevi di un tavolo comune, composto da rappresentanti anche dell’avvocatura e della magistratura, sul tema della riforma del processo».

Meloni è poi tornata su un tema che sta tenendo banco in questi ultimi giorni, quello delle intercettazioni: «Non intendiamo privare la magistratura di questo strumento - ha voluto rassicurare - ma «occorre evitare gli abusi e il cortocircuito nel rapporto tra media e intercettazioni finite sui giornali». Sempre in materia di giustizia la premier ha rivendicato il provvedimento sul “fine pena mai” e ha replicato a chi in questo periodo ha accusato il governo di essersi dimenticato del contrasto alla criminalità organizzata: «La battaglia per la legalità, contro la mafia, sarà a 360 gradi. Confermo che tutta la mia carriera politica è stata ispirata a Borsellino e continuerà ad esserlo. Sono stata fiera e contenta che il mio primo provvedimento ha riguardato il contrasto della mafia, con la messa in salvo del carcere ostativo. Mi dispiace aver visto una opposizione così dura su un provvedimento di questo genere. Si è tentato in tutti i modi di impedire una conversione del decreto». E poi un attacco diretto al Movimento 5 Stelle: «Non me la faccio fare la morale da chi, quando era al governo, ha liberato tanti boss mafiosi al 41 bis con la scusa del covid e ha approvato il condono di Ischia. Ognuno risponde per la propria coscienza». Il riferimento è alla famosa circolare del 21 marzo 2020, con cui il Dap del ministro Bonafede chiedeva ai direttori delle carceri di segnalare detenuti con patologie particolari a rischio complicanze da covid. Poi il solito mantra: «Vogliamo garantire sempre lo Stato di diritto: certezza della pena per i condannati e certezza del diritto per gli innocenti».