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Giorgetti
Mario Draghi presidente del Consiglio e presidente della Repubblica contemporaneamente. Non solo di fantapolitica si parla in Transatlantico quando escono le prime agenzie con le affermazioni del ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, contenuta nell’ultimo libro di Bruno Vespa, in uscita domani. Tra ironia e realtà, le risposte date dal numero due della Lega al decano del giornalismo televisivo hanno fatto storcere più di una bocca tra i parlamentari leghisti, e non solo. Incalzato sul tema Quirinale, in vista dell’elezione del prossimo capo dello Stato, Giorgetti risponde che «già nell’autunno del 2020» aveva ipotizzato la riconferma per un anno di Sergio Mattarella. «Ma se questo non è possibile - spiega lanciando la provocazione - va bene Draghi, che potrebbe guidare il convoglio (cioè il governo, ndr) anche da fuori: sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole».Parole liquidate come «solo una battuta» da Mario Perantoni, deputato del Movimento 5 Stelle e presidente della commissione Giustizia della Camera. «Se la frase non provenisse da un autorevole esponente del governo dovremmo considerala eversiva», aggiunge l’esponente pentastellato. Ma da sinistra sono in diversi a insorgere, compreso Arturo Scotto, coordinatore di Articolo uno. «Il punto non è Draghi o meno al Quirinale - commenta Scotto - È che non esiste un presidente della Repubblica eletto con vincolo politico, eccetto la difesa della Costituzione: caro Giorgetti, il semipresidenzialismo di fatto è un’idea pericolosa, un presepe che non mi piace, direbbe Eduardo». Non è invece sorpreso Ignazio La Russa, secondo il quale Giorgetti «non dice nulla di nuovo», perché «gli ultimi presidenti della Repubblica, da Scalfaro a Napolitano, compreso l’attuale, hanno modificato il ruolo del capo dello Stato, tanto da far parlare di una Costituzione di fatto, che attribuisce al presidente più poteri». Secondo l’esponente di Fratelli d’Italia «adesso è tempo di passare dalla Costituzione di fatto a modifiche serie della Costituzione e regolamentare il presidenzialismo o, se si vuole, il semipresidenzialismo, con norme che attribuiscono al popolo il potere di eleggere chi, come dice Giorgetti deve “guidare il convoglio”». La vede da un’altra prospettiva il leader di Azione, Carlo Calenda, secondo il quale Draghi deve restare saldo al suo posto. «I sistemi istituzionali non cambiano a seconda di chi ricopre una carica - scrive l’ex candidato sindaco a Roma su twitter - Sono presidenzialista, ma questo non è il sistema italiano: se Draghi deve continuare a guidare il paese, come io penso, allora occorre che resti presidente del Consiglio, per scelta netta e trasparente delle forze politiche». Ma se è sulla questione del «semipresidenzialismo» che i più hanno espresso dubbi, la «guida del convoglio» ipotizzata da Giorgetti è probabilmente da intendersi come una sorta di guida dall’alto (cioè dal Quirinale) che Draghi potrebbe intestarsi sull’andamento del Pnrr. Giorgetti, in sostanza, vorrebbe assicurarsi che l’autorevolezza espressa da Draghi in sede europea e internazionale non vada perduta in caso di passaggio al Colle dell’ex presidente della Bce, e men che mai dopo le prossime Politiche nel caso in cui sia lui a guidare l’esecutivo fino al 2023, con un’altra figura al Quirinale. Magari proprio quel Silvio Berlusconi che l’intera coalizione di centrodestra giura di voler votare dal quarto scrutinio in poi, quando servirà la maggioranza assoluta. E se per il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, «Salvini e Meloni stanno giocando con Berlusconi», non pensa lo stesso il presidente di Verde è popolare e berlusconiano della prima ora, Gianfranco Rotondi. «Si cerca sempre una soluzione unitaria nelle prime tre votazioni, e questa può essere solo Draghi - ragiona Rotondi - La candidatura di Berlusconi sopravviene in quarta votazione, nel caso in cui le forze politiche non raggiungano un'intesa unanime: e in questo caso Salvini e Meloni hanno già detto che lo sosterranno». Il difficile sarà convincere quelle decine di parlamentari mancanti a raggiungere il quorum, che Rotondi auspica di trovare tra i grillini, ricevendo lo stop del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà. «Berlusconi è invotabile - ha detto l’esponente M5S - e la sua candidatura è un’ipotesi assolutamente lontana dai principi che devono regolare l’elezione del presidente della Repubblica».