Il referendum è solo il pretesto. L’obiettivo delle polemiche interne con Nicola Zingaretti è solo uno: sostituire il segretario. Il fronte degli aspiranti congiurati è ampio e variegato: va dagli ex renziani ai giovani turchi, dal “partito” dei sindaci a qualche figlio snaturato della “ditta”. Mettere all’uscio Zingaretti per rimettere in discussione tutta la linea politica, a partire dall’alleanza pentastellata, è questa la consegna. Con una sola accortezza: evitare traumi troppo profondi che produrrebbero la fine della legislatura. Perché un conto è dare il benservito a Zingaretti e Conte e un altro tuffarsi nel buio di nuove Politiche. «La mia leadership non è in discussione», scandisce il numero uno del Pd nel tentativo di stoppare le manovre in corso.

Ma le occasioni di inciampo sul percorso del presidente della regione Lazio, del resto, non mancano. Il referendum, certo, ma soprattutto le Regionali, dove il Pd, pur mantenendo buone performance rischia di rimanere a bocca asciutta persino in Toscana. E se le elezioni non bastassero, si potrebbe utilizzare l’inizio tentennante dell’anno scolastico come argomento da scagliare addosso a un segretario troppo «appiattito» sulla linea grillina. E se anche questo non fosse sufficiente, ci sarebbe sempre il dibattito sulla legge elettorale, sul Mes o su qualsiasi altro tema tornasse utile alla causa.

Il piano B a Zingaretti, stando ai rumors del Nazareno, sarebbe già pronto. Stefano Bonaccini, secondo i fedelissimi del segretario, prepara la scalata da tempo. Ex bersaniano, salvatore dell’Emilia dall’invasione leghista, volto nuovo da spendere nell’agone nazionale, Bonaccini nei prossimi mesi potrebbe sfruttare la debolezza del leader per imporsi in un congresso straordinario, con l’aiuto delle molteplici anime del Pd e non solo. Perché tra i sostenitori di Zinga si fa strada il sospetto che il governatore emiliano stia strizzando l’occhio persino a Matteo Renzi per farlo rientrare in gioco dopo il fallimento dell’operazione Italia viva. Dentro il Pd, del resto, le pattuglie renziane pronte a costruire ponti col vecchio segretario non mancano. Senza andare troppo in là con lo sguardo, basterebbe bussare alle porte di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, animatori della corrente “Base riformista”, per rendersi conto quanto ancora sia fertile il seme renziano all’interno del Pd. A dare linfa alle paure dei cospirazionisti ci pensano anche i diretti interessati, Bonaccini e Renzi, intenti a scambiarsi pubblici attestati di stima nei giorni scorsi. «Sono orgogliosamente nel Pd ma abbiamo bisogno di irrobustire il riformismo e il centrosinistra in Emilia e in tutta Italia», dice il governatore, ospite della summer school politica di Italia Viva, attirandosi gli sguardi dei “lealisti”. Ma è la replica del padrone di casa a mandare in allarme il quartier generale del Nazareno: «Grazie Stefano, fratello e compagno di strada». E così il sospetto si fa convincimento.

Che qualcuno stia già lavorando al dopo Zingaretti, è opinione anche di Gianni Cuperlo, che proprio ieri al Dubbio proponeva il suo ragionamento. «All’atto di nascita di Italia Viva il suo leader, con una dose di sincerità, spiegò in una intervista come il suo traguardo fosse imitare Macron. Tradotto, ridurre il Pd ai minimi termini e prenderne il posto come perno centrale del campo riformista». Ma una volta mancato l’obiettivo, per Renzi «l’idea di “riprendersi la ditta” potrebbe divenire la subordinata, naturalmente a patto di trovare una sponda all’interno. La domanda è se tale sponda esiste o meno».

E in attesa di stanare le eventuali “sponde”, Zingaretti, «stufo delle ipocrisie» di chi usa le ragioni del No al taglio dei parlamentari «come clava contro il Pd», prepara la relazione con cui chiederà alla Direzione di sposare la linea del Sì al referendum.

Dalla sua, la legge elettorale e le riforme chieste dai dem ed entrate nel calendario della Camera. «Ho riaperto una battaglia politica perché tutti siano leali con gli impegni presi, dei segnali ci sono stati, si è riaperto il cantiere delle riforme e anche questo è un fatto positivo che io rivendico come una battaglia del Pd», dice Zingaretti, sperando di mettere a tacere, almeno per qualche settimana, le polemiche. Obiettivo mancato, a sentire le parole critiche del sindaco di Bergamo Giorgio Gori o quellescettiche di Matteo Orfini, secondo il quale, «calendarizzazione non significa nulla dopo un anno senza fare niente. E senza un accordo sul merito della legge. Di che stiamo parlando?» . La battaglia del Nazareno sta per cominciare. Le armi dei contendenti sono pronte a sparare.