Gli abiti nuovi consigliati dietro adeguato compenso dalla shopper, o consulente d'immagine che dir si voglia, Enrica Chicchio a Elly Schlein rischiano di essere strappati presto. A strattonare la segretaria del Pd in direzioni opposte sono in tanti ogni giorno. Ieri provvedevano Maurizio De Giovanni, Domenico De Masi e Aldo Schiavone, con una lettera aperta che tira verso sinistra, propone di «mettere a punto un nuovo modello di società» e intende dire che a farlo dovrebbero essere, insieme, i leader dei due partiti della sinistra.

Spinge in direzione diversa e con altri obiettivi, peraltro non esplicitati, Paolo Mieli. La sua si presenta in realtà come analisi che implica una appena celata critica: tatticamente la segreteria Schlein ha raggiunto obiettivi corposi, è tornata sopra il 20 per cento, ha staccato il competitor Conte di 5 punti, incalza quotidianamente la maggioranza inventandosi un motivo di polemica al giorno e anzi «talvolta anche due o tre in un'unica giornata».

Di passi avanti strategici però non se ne vedono. La costruzione di un fronte capace di contendere la vittoria alla destra non sembra neppure essere contemplata, nella convinzione che di qui alle elezioni, tra quattro anni, ci sia tempo. Una eventuale crisi improvvisa, evidentemente per Mieli possibile, troverebbe il Pd del tutto spiazzato e destinato a una nuova sconfitta. L'editorialista del Corriere registra infine il vuoto assoluto che si è creato al centro e azzarda un'ipotesi solo in apparenza da fantapolitica: una ennesima piroetta di Conte per far occupare al suo M5S quello spazio.

Sia i tre intellettuali che firmano la lettera sia l'analisi di Mieli danno dunque per certo un dato che in realtà assodato non è: un molto drastico spostamento a sinistra del Pd, l'abbandono di quelle ambizioni centriste che ne hanno accompagnato sempre, e spesso determinato, il percorso dalla fondazione in poi. È probabile che le cose vadano davvero così, essendo questo il mandato che la maggioranza degli elettori ha assegnato alla segretaria eletta a sorpresa. Ma le cose sono meno facili, perché 15 anni di percorso politico non possono essere messi da parte come se nulla fosse. In questi tre lustri si è formata tra i quadri (per usare parole grosse) del Pd una mentalità, un modo di guardare al mondo, alla società italiana e al proprio ruolo al suo interno troppo profondi per essere risolti solo con il classico arrembaggio al carro del vincitore.

Le uscite dal partito degli ultimi giorni, l'ex capogruppo Marcucci, Borghi, Chinnici, non sono tanto la punta di un iceberg quanto un termometro: rivela che la svolta a sinistra sarà meno facile, forse meno certa, probabilmente molto meno marcata del prevedibile.

Sinora la segretaria non ha mosso un solo vero passo in quella direzione: proprio come i molto meno sinistrorsi predecessori ha usato il fronte dei diritti civili per marcare l'identità “progressista” sfiorando appena, e in modo quasi indolore, tutto il resto: la guerra, le diseguaglianze sociali, il lavoro, persino la transizione ecologica. Finché la segretaria non avrà almeno iniziato ad assolvere alla vera missione assegnatale dalla realtà, risolvere l'eterna ambiguità del Pd, dotarlo di una identità solida anche a costo di perdere ben più di alcuni parlamentari, impostare una strategia delle alleanza sarà impossibile.

Lo stesso vuoto al centro è in buona parte conseguenza di quella ambiguità: perché quello spazio sia occupato, forse davvero da Conte ammesso che gli elettori 5S lo seguano, forse da Renzi perché non è affatto detto che la crisi del Terzo Polo sia davvero terminale, bisogna che il Pd ritiri l'ipoteca posta sin dal suo battesimo al Lingotto su quell'area politica. Lo stesso ruolo dei 5S dipende in buona misura dalla capacità del Pd di definire, e dunque anche circoscrivere, i confini della sua rappresentanza.

Non è un compito facile e non è affatto detto che la nuova segretaria e il suo gruppo dirigente si rivelino in grado di assolverlo. Non è neppure un obiettivo di quelli che possono essere conquistati d'impeto, in poche settimane, il che spiega in parte la prudenza con la quale si muove su quel fronte Elly Schlein. Ma per quanto sia davvero impossibile provare a bruciare i tempi un segnale almeno sarebbe ora che la nuova segretaria lo desse. Senza curarsi troppo del look, elemento sopravvalutato dal provincialismo che impera a sinistra, o delle «due o tre polemiche» quotidiane con la destra, che certo servono. Purché non si riduca a quel teatrino la definizione di un'identità politica.