Perché è caduto il secondo governo di Giuseppe Conte? La risposta, nella stragrande maggioranza dei casi sarebbe che quel governo è caduto perché Renzi ha deciso di togliere la fiducia. Non è del tutto falso ma neppure del tutto vero. Senza i voti di Iv Conte avrebbe potuto proseguire anche sino alla fine della legislatura con un governo di minoranza ed era deciso a farlo. Solo che avrebbe dovuto sacrificare il ministro 5S della Giustizia Bonafede e i 5S misero il veto: meglio le dimissioni del premier che il guardasigilli sfiduciato. Perché fallì il solo tentativo serio di riformare la Costituzione, cioè la Bicamerale presieduta da D'Alema negli anni ' 90? «Perché Berlusconi si sfilò all'ultimo momento», recita la ricostruzione addomesticata che ha finito per sostituire quella reale. In realtà, come ha più volte raccontato l'allora relatore Cesare Salvi, quella riforma naufragò perché il partito di D'Alema non se la sentì di sfidare il potere togato e chiese che su tutta la Carta si intervenisse tranne che sulla giustizia. Pretesa ovviamente inaccettabile. Non è tutto qui. Uninchiesta fiaccò il primo governo Berlusconi rendendo possibile la sua caduta dopo pochi mesi a palazzo Chigi nel 1994. Una raffica di inchieste misero in ginocchio il Cavaliere, ne demolirono l'immagine in Europa e lo costrinsero alle dimissioni nel 2011. Fu un'inchiesta a fornire il casus belli per la caduta del governo Prodi nel 2008. Insomma, in Italia i governi cadono e le riforme falliscono sbattendo sempre sullo stesso scoglio: la Giustizia. Non è troppo strano che sia così. Nel bene e nel male la seconda Repubblica è fondata su un'inchiesta, quella che tra il 1992 e il 1993 distrusse i partiti della precedente Repubblica, Mani Pulite. Che il rapporto tra giustizia e politica abbia finito per essere il vicolo cieco dal quale la Repubblica tenuta a battesimo da Mani Pulite non è mai riuscita a venire fuori era nell'ordine delle cose. La sola via sarebbe stata non mettere al primo posto in agenda la convenienza a breve, ragionare davvero con lungimiranza avendo il coraggio di sfidare l'impopolarità e la forza per non cedere alla tentazione di considerare interesse supremo il danneggiare l'avversario. Quel coraggio e quella forza il Pds- Ds- Pd non la ha mai avuta ed è molto difficile che la abbia anche oggi. La ministra Cartabia lo ha detto chiaramente ma non è una politica ed è proprio ai politici che quel coraggio manca. Stavolta però è possibile che si stia preparandola mano finale. La riforma della giustizia è un obbligo, non più un optional. Che la maggioranza accetti il ricatto dei duri a cinque stelle, che considerano quella bandiera non sacrificabile neppure in parte, è impossibile e comunque non sarebbe ammissibile per la ministra. Di Maio, che di tutti i 5S è l'unica testa davvero politica, ha fiutato l'aria e ha fatto la mossa più dirompente nell'intera storia del Movimento. Ma Conte, a cui sulla carta spetterebbe il compito di guidare il disastrato vascello fuori dalle secche del populismo giustizialista, ha paura di scontentare la base di quello che dovrebbe diventare il suo movimento, teme di consegnarsi nelle mani infide di Di Maio ed è sottoposto al controllo stringente del Fatto, che nel vuoto di potere che si prolunga da mesi, acquista sempre più peso sulla base pentastellata allo sbando. Il Pd, nonostante le suggestioni di Bettini, non osa rompere l'alleanza di fatto con il potere togato sulla quale ha scommesso, molte volte più per paura e convenienza che per convinzione, nell'arco di tutti gli ultimi decenni. Ma i referendum da un lato e l'obbligo della riforma dall'altro costringeranno Letta a prendere una posizione se non chiara e drastica almeno non del tutto acquattata. Andando oltre la dichiarazione con cui Letta ha chiuso ogni spiraglio di confronto: «Il referendum non è la strada che il Pd vuole prendere, il Pd vuole fare la riforma, perché ci fidiamo di Cartabia e Draghi. Noi siamo molto daccordo sulle loro proposte. Io a Salvini preferisco Cartabia e Draghi». Sulla riforma della giustizia emergeranno tutte le lacerazioni latenti non solo nella maggioranza ma anche nella sua ala sinistra e persino nelle singole componenti di quell'ala, inclusi stavolta i 5S. Sulla giustizia e solo sulla giustizia rischia Draghi e la giustizia e solo la giustizia può essere l'ostacolo fatale nei rapporti tra Pd e 5S. Ma la posta in gioco è altissima, perché senza uscire dal vicolo cieco del rapporto patologico tra politica e giustizia non ci sarà uscita possibile dalla palude degli ultimi decenni.