«Ci sono tanti parlamentari e ministri dei 5 Stelle che lavorano e io preferisco parlare con loro, non con i chiacchieroni tropicali a pagamento». Matteo Salvini pronuncia le parole che Luigi Di Maio è costretto a spezzare in gola e bacchetta con tono sprezzante Alessandro Di Battista, il più movimentista dei grillini, tornato prepotentemente in pista nelle ultime settimane con un solo obiettivo: fustigare la Lega per far esplodere le contraddizioni di un’alleanza di governo ritenuta innaturale. Così, il leader del Carroccio prende il toro per le corna e offre una sponda all’altro vice premier, impensierito dall’opa ostile tutta interna al Movimento. Sì, perché se servono almeno tre indizi per fare una prova, l’assalto di Alessandro Di Battista alla diligenza M5S è molto di più di una semplice congettura.

Che si presenti come scrittore “politicamente scorretto” nei confronti dei compagni di partito diventati troppo potenti o che pronunci proclami in tv, Di Battista sembra avere chiaro in mente un progetto: presentarsi come alternativa possibile al capo politico, fiaccato e “infighettito” dalla troppa confidenza con i palazzi romani. Ma per spazzare via una classe dirigente non basta solo un nuovo generale, serve un esercito. E quello pentastellato, al momento, è rappresentato da una schiera di soldati terrorizzati dall’ipotesi di tornare a casa prima del tempo e reinventarsi una vita normale.

Per questo Dibba, formalmente militante semplice, si prende la briga di proporre davanti alle telecamere “riforme” importanti alle poche regole rimaste ancora in vigore dopo la scomparsa di Gianroberto Casaleggio e il passo di lato di Beppe Grillo: deroga al limite dei due mandati in caso di crisi di governo. «Se da qui a 15 luglio, il governo cade, io chiedere di non contare la legislatura» per gli eletti M5S, si espone il leader romano su La7, offrendo un salvagente alle truppe impaurite e un salvacondotto all’amico/ rivale.

È stato proprio Di Maio, del resto, ad avviare la riforma dei due mandati per gli amministratori locali, Di Battista non fa altro che proporne l’estensione ai parlamentari. A costo di rinnegare la convinzione profonda del fondatore visionario, che davanti a tentazioni di questo tipo ripeteva sempre: «Ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli». Gianroberto fu costretto a ribadire il concetto proprio a Di Battista nel 2015, quando all’allora deputato balenò l’idea di candidarsi come sindaco della Capitale, rimasta orfana di Marino.

Ma il Movimento delle origini non esiste più e nessuno sembra più possedere l’autorità morale per imporsi. La spontaneità dei meet- up è stata addomesticata all’interno di Rousseau, la piattaforma di “democrazia” diretta da Davide Casaleggio. E il giovane manager guarda di buon occhio alla scalata di Dibba, “piano B” naturale per tornare alla lotta conservando un buon numero di consensi. O almeno così verrebbe da pensare, a giudicare dalle parole pronunciate da Max Bugani, braccio destro di Casaleggio nell’associazione che gestisce la piattaforma on line, che al Fatto quotidiano ha confidato: «Di Battista è il nostro numero nove, l’attaccante. E ci serve per fare gol».

Parole che, pronunciate da Bugani, suonano come una vera e propria benedizione da parte del figlio del fondatore e uno smacco a Di Maio, da un anno e mezzo impegnato a traghettare il Movimento dalla piazza al palazzo. Casaleggio jr, a modo suo, blinda Di Battista a poche ore dalla diffusione delle anticipazioni del suo libro, Politicamente scorretto, che ha mandato su tutte le furie buona parte dei ministri pentastellati, quelli definiti dal grillino romano «burocrati richiusi 18 ore nei ministeri». I governisti non ci stanno e preparano la resistenza interna. Ma il “Che” del Movimento ha già dettato i tempi per le prossime mosse: «Dobbiamo tirare fino al 20 luglio per evitare di andare al voto a settembre». Di Maio e compagni sono invitati gentilmente all’uscio. Per contrastre Salvini lo “Staff” ha puntato su un altro cavallo.