Era una presenza ormai abituale, un rito sempre più stanco che ha attraversato, tra gli alti e bassi delle innumerevoli ondate, tutta l’epoca del Covid in Italia. Il bollettino quotidiano dei dati cambia volto, come annunciato dal ministro Orazio Schillaci, e diventa settimanale. Si chiude quindi simbolicamente un’epoca, dopo oltre due anni e mezzo durante i quali non c’è stato un solo giorno, domeniche e festivi compresi, in cui gli italiani non conoscessero nel dettaglio il numero di contagi nelle 24 ore precedenti, suddivisi per regioni, a cui si aggiungono i ricoveri, le terapie intensive, i guariti, i decessi, il numero di tamponi e il numero delle persone attualmente malate. Una storia che inizia il 23 febbraio 2020: solo due giorni prima, a Codogno, la notizia del primo contagio interno di Covid in Italia, il «paziente 1» Mattia Maestri, nemmeno quarantenne e in terapia intensiva. Parte il rito della lettura dei dati nella sede della Protezione Civile, da parte dell’allora capo del dipartimento Angelo Borrelli. Il tempo del lockdown, varato pochi giorni dopo, e del dolore, in cui gli italiani intorno alle 17 di ogni pomeriggio si sintonizzano per seguire, prima con speranza poi con crescente angoscia, l’andamento di dati terribili, fino al tanto atteso calo di fine primavera. Il bollettino diventa una sorta di istituzione: nella directory della Protezione Civile che li raccoglie tutti il primo file Pdf è datato 2 marzo 2020,un’era geologica fa: i casi totali erano 2.036 (oggi sono oltre23 milioni), e in molte Regioni del Sud la casella segnava ancora zero. Inevitabili, trattandosi di numeri, le letture contraddittorie o errate: la prima questione fu su quale fosse il dato più rilevante per capire cosa stava succedendo: Borrelli dava lettura della variazione nel numero dei malati attuali, che da un punto di vista di protezione civile è ovviamente il più interessante perché sono persone che hanno bisogno di assistenza, e per alcuni giorni l’equivoco serpeggiò anche nei media, per poi dirottarsi tutti sul dato che davvero interessava ai fini dell’andamento epidemiologico, ossia la variazione dei casi totali (quello degli attualmente positivi è un numero viziato dai guariti e dai deceduti, che escono dal «bacino» dei malati). Sulla scorta dello stesso principio, dopo un anno il bollettino cambiò con una aggiunta significativa: al numero delle terapie intensive totali, che variava in base ai nuovi ricoveri ma ovviamente anche alle dimissioni e ai decessi, venne aggiunto quello degli ingressi giornalieri in rianimazione. Poi il bollettino è rimasto pressoché intatto fino a oggi: un file pdf di una pagina con 16 colonne. Dai ricoverati con sintomi alle intensive, dai contagi ai guariti, fino al numero dei tamponi, altro elemento che nel corso dei primi mesi si è lentamente affermato come dato essenziale, insieme a quello che ne deriva, ossia il famoso «tasso di positività», cioè quanti contagi vengono pescati ogni cento tamponi. Non era solo una curiosità scientifica: in base a quei numeri, a quei trend, nella seconda fase, quella dell’Italia «a colori», un dato fuori soglia sui ricoveri, per esempio, poteva portare a chiusure, a coprifuoco, a mascherine obbligatorie.

Da Crisanti a Bassetti, le reazioni 

Il bollettino Covid settimanale? «Una decisione politica inutile, preferiscono non sapere quanto aumentano i casi. L’hanno tolto perché ai cittadini fa paura?Io lo avrei fatto ogni mezza giornata: se si è sicuri delle proprie scelte si aumenta l’informazione non la si diminuisce», commenta Andrea Crisanti, microbiologo e neo senatore del Pd. Interpellato sulla fine dell’obbligo di indossare le mascherine negli ospedali dal prossimo primo novembre, Crisanti ha risposto: «Visto che c’è ancora trasmissione virale basti pensare che solo Omicron ha fatto circa 40mila morti, mica stiamo parlando di influenza». Con la decisione di far diventare il bollettino Covid settimanale «il ministro della Salute, Orazio Schillaci, è la persona giusta al posto giusto, ha capito perfettamente che occorreva semplificare. È giusto quindi il bollettino settimanale ma spero sia diverso, che si dica chi ha i sintomi e segni della polmonite o chi è ha solo un tampone positivo ma asintomatico, dove si differenzi chi è morto per Covid e con Covid», sostiene invece Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive del policlinico San Martino di Genova. L’annuncio del ministro Schillaci «lo attendevo. Finalmente un ministro che si interessa davvero della nostra salute in toto», spiega Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’Ospedale Sacco di Milano, che questi provvedimenti aveva più volte auspicato per arginare gli effetti psicologici, sociali ed economici di un «panico pandemico» ormai «da superare». «Fino ad oggi - sottolinea l’esperta - abbiamo visto la pandemia come una disgrazia ineluttabile e incombente», e questa visione ha prodotto «certamente un problema molto serio, gravando moltissimo sulla psiche, sull’economia, sulla socialità della gente. Si è creato un panico che non si è voluto neanche allentare quando la pandemia ci ha dato tregua», evidenzia Gismondo salutando con favore la svolta. «Il prossimo passo - aggiunge - sarà quello di non indicare più ivaccini come unica strada per combattere il virus, ma dare ottime informazioni sull’utilizzo delle terapie. E togliere l’obbligatorietà del vaccino per qualsiasi categoria».