Ribadisce il cordoglio per le vittime, sottolinea la continuità con la linea della fermezza e rivendica il cambio di passo dell'Europa sull'immigrazione come testimoniato dalla lettera di Ursula fon der Leyen. Giorgia Meloni presenta così il decreto legge appena licenziato dal Cdm riunitosi in via straordinaria a Cutro, teatro del tragico naufragio del 26 febbraio, ma poi sembra andare in confusione quando i giornalisti chiedono ancora chiarimenti sul mancato soccorso ai profughi.

«Volevamo dare un segnale allo stesso tempo simbolico e concreto», esordisce la presidente del Consiglio, accompagnata in conferenza stampa dai vice premier Matteo Salvini e Antonio Tajani e dai ministri Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Francesco Lollobrigida. Il decreto, come anticipato dalla bozza dopo il preconsiglio della mattina, prevede una stretta penale sugli scafisti, modifiche al decreto flussi che diventa triennale con quote preferenziali riservate ai lavoratori provenienti da Paesi che collaborano con lo Stato italiano, nuovi Centri per le espulsioni e semplificazioni per le richieste d'asilo. Prevista in tempi brevi anche una stretta sulla protezione speciale «le cui maglie erano state allargate a dismisura».

Stralciata, rispetto alla bozza, la norma che mirava ad aumentare la sorveglianza marittima, dando un ruolo maggiore alla marina militare. Manca pure qualsiasi riferimento ai soccorsi, come ci si sarebbe aspettato da un Cdm riunitosi dopo una “strage”. «Abbiamo licenziato un decreto per ribadire che noi siamo determinati a sconfiggere la tratta di esseri umani responsabile di questa tragedia», dice Meloni. «La nostra risposta a quel che è accaduto è una politica di maggiore fermezza sul tema. Lo dico per sgomberare il campo da alcune ricostruzioni surreali», argomenta la premier. Che ci tiene ad allontanare da sé qualsiasi sospetto di buonismo: «Se qualcuno pensa che i fatti del 26 febbraio ci abbiano indotto a modificare la nostra linea sbaglia», scandisce la presidente del Consiglio, convinta che non ci sia «politica più responsabile di quella finalizzata a rompere la tratta degli scafisti, a combattere la schiavitù del terzo millennio».

E per la prima volta, dal 26 febbraio, la premier spende qualche parola persino a difesa del ministro dell'Interno Piantedosi, finito nell'occhio del ciclone per i mancati soccorsi e per le parole inopportune pronunciate a poche ore dall'annegamento di bambini, donne e uomini in fuga. «Mi stupisce chi ha lanciato strali contro il governo quando il ministro Piantedosi ha mostrato che non si poteva fare nulla di diverso per salvare le vite di queste persone», spiega. «Le stesse persone non spendono nemmeno una parola contro i trafficanti». Ed è proprio dedicata ai trafficanti la «norma principale» di questo decreto che prevede un aumento delle pene, fino a 30 anni, e una nuova fattispecie di reato relativa alla morte o alle lesioni gravi in conseguenza al traffico di migranti. Non solo: «Il reato verrà perseguito dall’Italia anche se commesso al di fuori dei confini nazionali», dice ancora la premier. «Vogliamo cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo perché vogliamo interrompere la tratta».

Ma finita la parte “promozionale” del nuovo provvedimento, la leader di Fratelli d'Italia va in affanno davanti alle domande dei giornalisti. Meloni ricostruisce in maniera approssimativa i fatti avvenuti a pochi metri dalle coste italiane la notte tra il 25 e il 26 febbraio, annaspa sulle segnalazioni di Frontex e confonde la successione temporale dei fatti. La premier punta tutto sull'assenza di dolo da parte della catena di comando e attribuisce le responsabilità alla fatalità. Poi esplode davanti al rumoreggiare dei cronisti che mettono in luce le incongruenze, ma non entra ancora nel merito delle domande. «Qualcuno ritiene che le autorità italiane potevano fare qualcosa che non hanno fatto?», dice spazientita. «Pensare che le istituzioni si siano girate dall’altra parte è molto grave. Noi non abbiamo potuto fare di più di quello che abbiamo fatto e abbiamo assistito a una tragedia». La situazione rischia di sfuggire di mano, la conferenza stampa si è trasformata in una corrida e il nuovo portavoce Mario Sechi non sa come gestire il traffico delle domande che ormai arrivano da ogni angolo del cortile. Meglio battere in ritirata.

Fuori dall'aula del Consiglio comunale un gruppo di contestatori aspetta l'arrivo delle auto blu per lanciare accuse «assassini» e oggetti, dei pupazzi, come quelli restituiti dal mare dopo il naufragio dei migranti. «Non nel nostro nome», si legge sugli striscioni dei manifestanti. «I veri scafisti sono loro», dice un attivista in presidio, riferendosi ai rappresentanti del governo. «Sono loro gli amici di Erdogan e della guardia costiera libica. Noi calabresi, invece, sappiamo cosa significa emigrare per avere una vita migliore. Meloni è venuta qui solo a fare una passerella», aggiunge.

Intanto, la conta dei morti potrebbe non essere finita. Proseguono ancora infatti le ricerche davanti alla spiaggia di Steccato di Cutro, condotte dai vigili del fuoco e dai sommozzatori delle Fiamme Gialle con gommoni, moto d'acqua e droni. In mattinata gli uomini in muta avvistano qualcosa, provano ad affrontare le onde e dopo vari tentativi si calano. «Era solo un ramo, purtroppo», dice sconsolato un uomo della Guardia di Finanza.

Le salme già recuperate sono ancora ferme al PalaMilone, il palazzetto dello sport di Crotone

Alcuni parenti dei naufraghi di origine afgana avrebbero voluto incontrare la numero uno di Palazzo Chigi per chiedere l'autorizzazione a trasportare i propri cari fino a Kabul. Un viaggio complicato, reso ancora più difficile dalla mancanza di voli verso il Paese dei Talebani e da un dedalo burocratico che impedisce ai familiari di farsi carico della sepoltura. Meloni ha preferito non farsi vedere al PalaMilone, confermando la scelta fatta subito dopo la strage: l'assenza. Anche se prima di abbandonare la conferenza stampa, ancora rintuzzata dai cronisti, risponde: «Posso anche andarci. Sì, ci andrò».