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Da una parte c’è la maggioranza, che difende compatta l’operato del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e la sua decisione di avviare un provvedimento disciplinare contro i giudici della Corte d’Appello di Milano che hanno concesso i domiciliari al cittadino russo poi fuggito al controllo del braccialetto elettronico e tornato in patria. Dall’altra c’è l’opposizione, che difende l’operato della magistratura e chiede conto al Guardasigilli delle sue «responsabilità politiche» sul caso, come sottolineato dalla deputata dem Deborah Serracchiani.
Ma Nordio si sente coperto, ha sulle spalle l’incontro di mercoledì a palazzo Chigi con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che dopo le richieste di chiarimento dei giorni precedenti ha ascoltato le tesi del ministro confermandogli la propria fiducia. E dando il via libera all’azione disciplinare contro i giudici di Milano, decisione dunque presa da Nordio e avallata da Meloni, che gli ha tuttavia ribadito di no voler entrare nel merito delle decisioni della magistratura.
Da qui si spiega il sostegno di tutta la maggioranza in Parlamento e fuori al titolare di via Arenula, arrivato ieri sia in sede di discussione generale a Montecitorio dopo l’informativa di Nordio, sia durante il question time al Senato del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, un fatto che il titolare della Farnesina ha definito «grave» e «sul quale è importante fare chiarezza». E sposando però la tesi di Nordio sulla necessità di far luce circa l’operato dei magistrati. «La decisione della Corte d’Appello di Milano sugli arresti domiciliari rientrava nell’esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria e il governo non aveva alcun potere di intervento», ha aggiunto Tajani. Specificando poi che al momento dell’arresto di Uss «non c’era alcuna richiesta di estradizione pendente» e pertanto l’esecutivo «ha applicato correttamente l’articolo 716 della procedura penale».
Insomma una difesa a spada tratta del Guardasigilli, finito nelle scorse ore sotto il fuoco non soltanto dell’Anm ma anche delle Camere penali, circostanza più unica che rara. Fuoco che non sembra aver bruciato la sua convinzione di non poter fare altrimenti sul caso in questione, come sottolineato anche in chiusura di intervento alla Camera. «Non esistono surrogati della legge in democrazia - ha detto Nordio rivolgendosi alle proteste dei giudici e dell’Anm - in caso contrario migliaia di cittadini sottoposti a procedimento con accuse che poi risultano infondate sarebbero meno uguali di chi, indossando la toga, dovrebbe essere principale garante di questa uguaglianza».
E se anche dalla Lega spiegano che «la misura adottata, cioè gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, non può essere impugnata dal ministro della Giustizia», le parole di Nordio hanno scatenato la reazione delle opposizioni, in primis il Pd. «Dal governo abbiamo assistito a uno scaricabarile come non si vedeva dai tempi della fuga di Kappler, con il ministro Nordio che non trova di meglio che addossare responsabilità alla magistratura - ha attaccato Enrico Borghi, senatore dem membro del Copasir - Il quadro che emerge è un grado di inaffidabilità delle istituzioni del nostro Paese, confermata dall’insufficienza della risposta data dal governo».
Ancor più duro l’intervento di Serracchiani dopo l’informativa di Nordio. «Assistiamo a un maldestro tentativo di trovare un capro espiatorio e scaricare le responsabilità e per questo la responsabilità che le attribuiamo è tutta politica - ha detto l’ex capogruppo dem rivolta al Guardasigilli - Pur di non assumersi la responsabilità arriva a minare l'indipendenza della magistratura e questa è la strada che porta verso le democrazie illiberali: la sua decisione è di inaudita gravità ed è tutta politica, e come tale ancora più grave».
Ma se Nordio ritiene di aver svolto appieno il proprio dovere, almeno fino a che la questione non è entrata in un’aula di Tribunale, e i magistrati si difendono spiegando di aver semplicemente applicato la legge, resta da capire come sia stata possibile la fuga di Uss. Il tema è stato posto anche da Gianfranco Fini, mentore di Meloni che si è chiesto «dov’era il controspionaggio italiano», ipotizzando ironicamente che «se c'era dormiva». Secondo l’ex presidente della Camera «non si scappa con un braccialetto elettronico senza che nessuno se ne accorga e di conseguenza «probabilmente c’è stata una disattenzione di chi doveva vigilare». E a proposto di questo Nordio ha fatto sapere che «sono in corso ulteriori accertamenti da parte del ministero degli Interni sul braccialetto elettronico», forse l’unico modo per capire come sia stato possibile farsi sfuggire un soggetto di così elevata pericolosità. E non è detto che lo stesso ministro dell’Interno, Piantedosi, possa nelle prossime settimane riferire in Parlamento sull’accaduto, come dalle opposizione hanno chiesto di fare anche a Giorgia Meloni.