Incontro tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi a Roma. Il leader di Forza Italia è arrivato nella sede di Fratelli d'Italia per l'incontro chiarificatore con la premier in pectore sul governo. L'ex presidente del consiglio è entrato nel Palazzo che ospita la sede del partito meloniano in auto, evitando cameraman e fotografi. Meloni ha atteso Berlusconi nel cortile della sede.

I passanti in via della Scrofa: «'Ndo sta er morto?»

«‘Ndo sta er morto?», chiede in romanesco un passante di fronte alla ressa di tv e giornalisti in via della Scrofa per l’incontro tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi. «C’è stato un incidente?”, si preoccupa una ragazza. ‘What happened?”, domanda una coppia di stranieri che rischia di essere travolta. Con il passare dei minuti stampa e cameraman continuano ad ammassarsi sui marciapiedi, tra le imprecazioni dei commercianti. Gli unici a esultare sono i bar attorno che hanno per qualche ora hanno triplicato vendite di panini, pizzette e bibite per i cronisti al bivacco politico. Spuntano anche dei vigili urbani che transennano l’ingresso principale della sede di fratelli d’Italia con il nastro giallo, con la scritta "polizia Roma Capitale" per consentire il passaggio delle auto.

Meloni-Berlusconi, oggi l'incontro a Roma

A dimostrarlo la location dove sarà certificata la riappacificazione - dopo lo strappo di Forza Italia sull’elezione di Ignazio La Russa a presidente del Senato - non Villa Grande, non una sede istituzionale, ma il quartier generale della leader di Fratelli d'Itlia, in pieno centro storico e proprio tra Palazzo Madama e Montecitorio. Un evento che riporta la memoria al 2014, quando il presidente azzurro entrò al Nazareno per incontrare Matteo Renzi. La premier in pectore ha trascorso il week end in famiglia - lontano dai riflettori - impegnata sui dossier più urgenti che dovrà affrontare una volta varcato il portone di Palazzo Chigi e, perché no, anche per dedicare del tempo alla piccola Ginevra. La squadra per ora è in stand by, si attendeva un segnale da Berlusconi che alla fine è arrivato. Il pressing dei figli, Marina e Pier Silvio, e dell’amico Gianni Letta, hanno sortito il risultato sperato e oltre a convincere l’uomo di Arcore, hanno anche facilitato il passo indietro di Licia Ronzulli. Nessun incarico di governo ma, da quanto filtra, neanche una posizione in prima linea nel partito come coordinatrice. Rompere con Meloni «non conviene a nessuno», è il messaggio risuonato forte e chiaro nel quartier generale in Brianza, e il Cav, secondo quanto viene riferito, sarebbe sceso a più miti consigli rinunciando alla casella su cui aveva puntato con più tenacia: la Giustizia. Il no di Meloni è noto, la sua prima scelta resta Carlo Nordio, e poi c’è la contrarietà a mettere mano alla legge Severino: Fratelli d’Italia, infatti, non aveva sostenuto il quesito referendario che ne chiedeva l’abolizione, pertanto impossibile che possa consegnare il dicastero di via Arenula a un partito che avrebbe questa missione. Al partito azzurro, dunque, oltre alla Farnesina per Antonio Tajani, potrebbe arrivare la Cultura probabilmente con delega all’editoria (Alberto Barachini), l’istruzione e Università (Anna Maria Bernini) e la Pubblica amministrazione (Elisabetta Alberti Casellati). Nessuna ritorsione, quindi, da parte di Meloni nei confronti di chi in Senato non ha votato Ignazio La Russa presidente, ma non sarà consentita alcuna mira sul Mise da parte degli azzurri, perché quel dicastero è destinato a Guido Crosetto.

Ira dem: «Su cosa trattano i figli di Berlusconi?»

Intanto lo stato maggiore del Partito Democratico osserva «con sconcerto» le manovre per dare il via al governo di Giorgia Meloni. Compresa la presunta discesa in campo dei figli di Silvio Berlusconi per smussare gli spigoli della trattativa con la presidente in pectore, Giorgia Meloni. «È gravissimo», dicono dal Nazareno, «siamo a una versione più sfacciata del conflitto di interessi». Una dinamica «inconcepibile in altri paesi europei», fa notare il senatore Enrico Borghi, responsabile sicurezza della segreteria dem. «Com’era la favola della destra normale in un paese normale?», si chiede Borghi: «Nella trattativa per la formazione del governo entrano in campo i figli di Berlusconi, cioè i proprietari di Mediaset. Di cosa parlano con Meloni? Del futuro dell’azienda? Cose inconcepibili in qualunque altro paese occidentale». Se confermata, la notizia del coinvolgimento diretto dei figli del cavaliere confermerebbe, per il Pd, «il problema di fluidità dei rapporti interni» alla maggioranza di Giorgia Meloni, «costretta anche a inventare polemiche per coprire un conclamato conflitto di interessi che, dopo il confronto con i figli di Berlusconi, ha superato la soglia della decenza». Le polemiche di cui parlano i dem sono quelle innescate dall’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Una scelta «incendiaria che divide il Paese», l’ha definita Enrico Letta al quale ha risposto Giorgia Meloni accusando il leader dem di minare la credibilità internazionale del paese. Per i dirigenti più vicini al segretario non si è trattato tanto di «uno scontro istituzionale» quanto «una banale polemica last minute inventata per correggere o sbianchettare in corsa i titoli di giornata», riferiscono all’AGI: «In un contesto globalizzato, di informazione in tempo reale, fa sorridere che rispolverino la vecchia retorica dell’interesse nazionale da tutelare all’estero. Neanche il Berlusconi dei tempi peggiori. Come peraltro se fuori dall’Italia non vedessero quanto sta accadendo e non fossero legittimamente preoccupati e basiti per le scelte fatte sulle presidenze delle Camere», aggiungono. Anche per il vice segertario del Pd, Peppe Provenzano, «la legislatura è partita nel peggiore dei modi possibili con scelte che hanno diviso e indebolito il Paese e anche la maggioranza», per questo, aggiunge Provenzano, anziché «spiegare al Pd come fare opposizione», Giorgia Meloni dovrebbe concentrarsi nel lavoro per formare «un governo e dare risposte ai cittadini se ne è capace». Chi invita a «non fare troppo affidamento alle divisioni del centrodestra» è Andrea Orlando. Il ministro uscente del governo Draghi vede nella destra che ha vinto le elezioni in Italia, non solo «folklore e nostalgia» ma «una destra che ha un disegno diverso dal nostro. Per noi molto pericoloso». Per fare fronte a questo pericolo, Orlando propone da un parte un patto fra tutte le opposizioni, ricordando che una settimana fa la proposta è stata bocciata da Calenda. Dall’altra, sottolinea la necessità per il Partito Democratico di riappropriarsi di alcune priorità, come la lotta alle diseguaglianze sociali. «Noi abbiamo una tenaglia intorno, da un lato questa proposta politica» rappresentata da Renzi e Calenda «e dall’altro una formula social-populista che strizza l’occhio ai bisogni senza mai sciogliere i nodi. Noi dobbiamo uscire da questa tenaglia provando a dare delle risposte strutturali ai problemi che nascono dalle attuali contraddizioni dello sviluppo economico». Da qui, per Orlando, passa la costruzione della opposizione in Parlamento e nel paese. Per l’opposizione in Parlamento, nelle prossime ore il Partito Democratico cercherà di definire il percorso per l’elezione delle capigruppo di Camera e senato. La dead line per questo passaggio è martedì, quando è prevista la prima conferenza dei capigruppo al senato (dovrebbe tenersi alle 15,00). La strada maestra resta quella della proroga di Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, soluzione che consentirebbe di evitare una verifica a stretto giro da parte del futuro segretario. Ma nelle ultime ore si registra un nuovo attivismo da parte delle aree interne al partito. Crescono le quotazioni di Anna Ascani, deputata apprezzata dall’area vicina al segretario Enrico Letta. Una operazione possibile, riferiscono fonti parlamentari dem, a condizione che l’attuale capogruppo Debora Serracchiani vada ad occupare la casella di vicepresidente della Camera. Casella che potrebbe, tuttavia, interessare anche qualche esponente dell’area vicina a Nicola Zingaretti, compreso lo stesso segertario del Lazio. La suggestione, per la vicepresidenza della Camera, porta il nome di Alessandro Zan: papà del disegno di legge contro i reati di omotransfobia, Zan sarebbe per i dem la perfetta nemesi del presidente neo eletto, Lorenzo Fontana. Un candidato fuori da qualsiasi logica correntizia, commenta un parlamentare, ma perciò più debole rispetto ai competitor. E poi, la scelta di Zan scombinerebbe il gioco di incastri fra aree politiche che si è innescato. Al Senato, Simona Malpezzi è sempre in lizza per fare ancora la capogruppo, ma potrebbe rientrare in corsa per la vice presidenza di Palazzo Madama. Se dovesse realizzarsi questa seconda eventualità, candidata a subentrare a Malpezzi nel ruolo di capogruppo sarebbe Valeria Valente. Ma c’è anche l’attuale vice presidente del Senato, Anna Rossomando, in quota Orlando, a poter aspirare a quel ruolo. Per l’incarico di Questore, invece, i franceschiniani starebbero pensando a Bruno Astorre. Tutto in bilico, viene però spiegato, dato che dopo il caso La Russa, con pezzi di opposizione che hanno votato l’esponente FdI, i dem in Parlamento si aspettano «altri brutti scherzi».