«Non rinnegare, non restaurare»: il Msi scelse questo slogan per sintetizzare il proprio rapporto con il fascismo nel proprio congresso fondativo, giugno 1948. Le acrobazie, le gaffes, le contorsioni, soprattutto le difficoltà che questo 25 aprile crea a Giorgia Meloni dipendono in fondo tutte da questo slogan che nel 1948, a tre anni dalla Liberazione, non era solo una formula furbetta per evitare di dichiararsi fascisti senza incorrere nel divieto costituzionale, allora freschissimo, di ricostituire il Pnf. Era una definizione presa sul serio e inscritta nel dna del partito.

Il Msi non era fascista soprattutto per questioni di realismo. I dirigenti del partito che del fascismo pur si voleva erede erano assolutamente consapevoli di quanto fuori dal mondo fosse ogni miraggio di “restaurazione”. Arturo Michelini, che di quel partito fu segretario dal 1954 al 1969 ironizzava: «Mi ci vedete nella parte del Duce?». Le cose cambiarono quando nel ' 69 tornò a guidare il partito della Fiamma il duro Giorgio Almirante, molto più dinamico e aggressivo del mite predecessore.

Eppure non ha torto Giorgia Meloni, che è prima di tutto un'almirantiana, quando afferma che Almirante fu il primo a immaginare una destra molto conservatrice, disciplinare, assolutamente “d'ordine” e tuttavia democratica, quando nel 1972 tentò di dar vita alla Destra nazionale. Non c'è motivo di dubitare della sincerità democratica dello storico leader, anche se la sua concezione della democrazia era certamente molto autoritaria. Il Fini che decise la storica “svolta” di Fiuggi, lo scioglimento del Msi e la nascita di Alleanza nazionale era certamente democratico, anche se nel suo studio figuravano le opere complete di Mussolini.

Per i leader del Msi, sempre più sinceramente col passare del tempo e certo con importanti spinte opposte almeno fino agli anni ' 80, quel “Non restaurare” non è mai stato un problema. Purché accompagnato dal “Non rinnegare”, sempre più ridotto col tempo a una pura formula verbale: qualcosa di molto simile a “Non abiurare”. Fini nel corso di un percorso individuale certamente sincero era arrivato a conclusioni opposte, a considerare necessaria la dichiarazione esplicita di antifascismo. È stato un passo che il suo stesso partito e buona parte della base elettorale non gli ha perdonato.

Conviene ricordare che il partito di Giorgia Meloni era nato in buona parte come reazione proprio a quel passaggio, che andava in realtà ben oltre Fiuggi e l'abbandono di ogni rimasuglio di nostalgia per il fascismo. Era nato come una sorta di Rifondazione missina proprio perché consapevole che con quella svolta il leader non prendeva più le distanze solo dal fascismo, come a Fiuggi, ma rompeva definitivamente anche con il Msi, nel cui dna campeggiava il “Non rinnegare”.

Anche dopo l'exploit che ha portato il suo partito in un paio d'anni dal 4 per cento al 30 o giù di lì, la premier ha sempre rifiutato ogni accento che suonasse come rinnegamento del Msi, mentre in più occasioni ha sottolineato la propria distanza da ogni totalitarismo fascismo incluso. Non ha solo voluto mantenere la Fiamma del Msi nel logo del partito diventato primo in Italia: il suo discorso la notte del trionfo elettorale è stato un omaggio molto chiaro, pur se non esplicitato, al suo maestro Almirante. Ora Fini la sprona a fare proprio quel passo che costò a lui moltissimo, e premono in questo senso innumerevoli e autorevoli voci. In fondo quello zoccolo duro proveniente da FdI modello Rifondazione missina è ormai una componente minoritaria della base elettorale che ha portato d'impeto Giorgia Meloni a palazzo Chigi, e nello scambio guadagnerebbe la definitiva legittimazione agli occhi dei poteri italiani e di quelli stranieri.

Oggi la premier dovrà decidere se fare quel passo. Le sue parole saranno passate al contropelo virgole incluse. Le attese per una dichiarazione tale da sgombrare definitivamente il campo da ogni sospetto sono alte anche nelle stesse file della destra. E tuttavia non è facile che l'erede di Almirante si decida a tagliare una volta per tutte quel cordone ombelicale. Un po' perché sa che le “analisi del sangue” non finirebbero e probabilmente non finiranno mai. Un po' perché consapevole del fatto che chi la ha votata ritiene il nodo dell'antifascismo dichiarato questione del passato e chi invece ritiene il punto dirimente non la voterà mai. Un po' perché i postmissini saranno pure una minoranza tra gli elettori, ma non lo sono nel partito e comunque rappresentano lo zoccolo duro non esposto a rapidi cambi d'opinione. Ma molto, moltissimo perché missina Giorgia Meloni si sente e vuole continuare a sentirsi.