L’incontro di domenica in Florida tra Volodymyr Zelensky e Donald Trump promette di avere effetti che vanno ben oltre il dossier ucraino e arrivano fino a Roma. Il faccia a faccia di Mar-a-Lago, centrato sulle garanzie di sicurezza e su un piano di pace che Kiev dice ormai «pronto al 90%», rischia infatti di riverberarsi immediatamente sulla dialettica interna al centrodestra italiano, proprio alla vigilia di un passaggio politicamente delicato.
Lunedì, nell’ultimo Consiglio dei ministri dell’anno, il governo è chiamato a dare il via libera al decreto per il rinnovo del sostegno militare all’Ucraina. Un provvedimento che questa volta incontra un’ostilità più marcata del solito da parte della Lega di Matteo Salvini, anche alla luce degli sforzi di Trump per favorire una trattativa e dei negoziati in corso. L’annuncio dell’incontro tra il presidente americano e quello ucraino fornisce così nuovi argomenti a chi, come il leader leghista, vorrebbe quantomeno rinviare o “raffreddare” l’impegno italiano.
Salvini lo ha detto, giorni fa, senza troppi giri di parole: «A me interessa che il decreto sia diverso dagli anni passati e che si parli di difesa e non solo di offesa, di civili e non solo di militari». Una linea che segnala la volontà di marcare una discontinuità politica, pur sapendo che il decreto deve essere approvato entro la fine dell’anno e che lo spazio per rinvii è sostanzialmente nullo.
Da Palazzo Chigi, però, il messaggio è di segno opposto. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha liquidato le tensioni parlando di un testo «chiuso da settimane» e negando qualsiasi disaccordo nella maggioranza. Ancora più netto il sottosegretario alla Presidenza Giovanbattista Fazzolari, che ha rivendicato un «accordo politico chiuso» e respinto l’idea di un decreto innovativo: l’Italia continuerà a sostenere Kiev, anche militarmente, con particolare attenzione alla difesa aerea e delle infrastrutture civili. Fazzolari concede semmai un punto alla Lega sul riferimento al piano di pace di Trump, ma lo fa rovesciandone il senso: l’Europa, sostiene, non ha mai avuto una vera iniziativa autonoma e oggi non può che misurarsi con la proposta americana. Per il braccio destro della premier, parlare di posizioni filorusse nel governo è una forzatura che finisce per alimentare solo la disinformazione di Mosca.
Non è un caso che questa volta la tensione sia stata più evidente rispetto ai passaggi precedenti. La Lega guarda con attenzione a ogni segnale che arrivi da Washington, convinta che l’attivismo di Trump sul dossier ucraino possa cambiare il quadro di riferimento anche per gli alleati europei. In questa lettura, l’Italia dovrebbe evitare mosse che appaiano disallineate rispetto a un possibile negoziato imminente, puntando a un profilo più prudente e maggiormente orientato alla protezione dei civili. Una posizione che collide con la necessità, rivendicata da Palazzo Chigi, di garantire continuità alla linea seguita finora e di non offrire l’immagine di un Paese incerto proprio mentre il confronto internazionale entra in una fase delicata. È su questo crinale che si gioca il confronto politico interno: non sulla sostanza del decreto, destinato comunque a passare, ma sul suo significato politico e sul messaggio che l’Italia intende mandare ai partner occidentali.
Resta il dato politico. L’incontro Trump-Zelensky aggiunge pressione su Salvini, rafforzando la tentazione di “gettare la palla in avanti” e chiedere nuove limature al testo. Ma il calendario stringe e il decreto non è rinviabile. Ne nascerà con ogni probabilità un compromesso già scritto: via libera formale lunedì, ma una dialettica interna destinata a riaprirsi subito dopo, accompagnando anche il prossimo passaggio dei negoziati.