Marcello De Chiara, consigliere alla Corte di Appello di Napoli, vice presidente dell’Anm con Unicost, i sondaggi vi danno in svantaggio.
Esiste una quota significativa di cittadini, pari alla metà degli aventi diritto, che non conoscono nemmeno i contenuti di massima del referendum. L’esito della campagna dipenderà dalla capacità di raggiungere questa fetta di elettorato con messaggi semplici e credibili. È una partita tutta da giocare: la forbice tra il Sì ed il No si sta assottigliando settimana dopo settimana. Parlando all’uomo della strada, bisogna dire che una magistratura debole, annichilita da una politica sempre più tracotante, non conviene ai cittadini. Temo che le reali vittime di questa riforma saranno le minoranze.
Lei da ex gip ritiene che, come sostengono i Sì, con la riforma possa esserci un minor appiattimento del gip sul pm?
Nessuno si sognerebbe di dire che i Tribunali sono appiattiti sulle ragioni dell’accusa, perché, in base ai dati ufficiali, la percentuale delle assoluzioni è superiore al 50%. Si va allora a colpire la figura del gip, dimenticando che tale organo, a differenza dei Tribunali, intervenendo nella fase in cui il procedimento è segreto, prende decisioni sulla base delle ragioni del solo pm e ha quindi un orizzonte conoscitivo non ancora arricchito dalle controdeduzioni difensive. Meno normale è che la campagna contro i gip si fondi su dati statistici di oscura attendibilità, come la percentuale degli accoglimenti in materia di intercettazioni telefoniche di cui nessuno conosce l’esatta provenienza.
Davvero i pm condizionano le vostre carriere e per questo li temete?
Chi insinua ciò promuove una visione caricaturale della magistratura che la politica ha tutto l’interesse a diffondere, ma che è lontana anni luce dalle aule di giustizia. Fortunatamente non tutti la pensano così. Mi tornano alla mente le parole del più autorevole penalista italiano, il professor Franco Coppi, secondo cui certe decisioni, rivelatesi sbagliate, possono essere state adottate perché il giudice non ha capito i fatti di causa, ma che mai nella sua lunga carriera gli è capitato che un giudice gli abbia dato torto per fare un favore al pm o “perché veste la stessa casacca” di quest’ultimo. Sono sicuro che queste parole riflettono il pensiero di tanti avvocati, ancora non obnubilati dal sentimento di rivalsa verso i magistrati.
Ha fatto molto discutere l’adesione di Luigi Salvato ex esponente di Unicost al comitato Sì riforma presieduto da Zanon.
Parto dalla nuda cronologia: nel luglio 2024, il dottor Salvato, all’epoca Pg presso la Cassazione, davanti alla Commissione Affari costituzionali, formulava dotte ed articolate argomentazioni per sostenere l’inutilità di questa riforma, nel gennaio 2025 rilasciava la nota intervista nella quale ribadiva tale posizione; a marzo lasciava, infine, l’ordine giudiziario per raggiunti limiti di età. Ora apprendiamo non solo che ha cambiato idea, ma che è uno dei soci fondatori del Comitato per il Sì. Non mi sento di esprimere giudizi ed anzi l’alta levatura della persona impone di osservare la massima cautela, ma non posso negare che una giravolta così repentina e radicale desta stupore.
Sempre Salvato in una intervista al Dubbio parlando del sorteggio: “La riforma non mina l’autorevolezza del Csm e conserva la rilevanza dell’Anm, senza preoccupazioni elettoralistiche legate al Csm”.
Elevare a norma di rango costituzionale il postulato che i magistrati ordinari (non anche quelli contabili o amministrativi) non sono in grado di eleggere i membri del proprio organo di autogoverno non significa forse degradare il prestigio dell’Istituzione? L’introduzione del sorteggio è un’umiliazione che i cittadini italiani non dovrebbero permettere e che i magistrati non meritano. Neanche un anno fa, lo stesso Salvato affermava che il sorteggio è “contrario ai principi essenziali della democrazia”.
Molti sostenitori del Sì usano come argomento quanto raccontato da Luca Palamara, ex leader della sua corrente.
Non può ignorarsi che, nell’attuale consiliatura, il 90% delle nomine è avvenuto all’unanimità, il che sembrerebbe smentire il refrain di correnti interessate solo a promuovere i propri favoriti, piuttosto che il candidato migliore. Sullo sfondo, resta, però, il grande tema della discrezionalità consiliare e di come essa debba atteggiarsi quando si tratta di conferire gli incarichi direttivi. Ciò che sfugge ai più è che il problema è anzitutto normativo: il legislatore non ha finora individuato dei parametri che consentano di pervenire a risultati univoci nella comparazione dei candidati anche per l’oggettiva difficoltà di misurare un’entità in sé scivolosa come la meritevolezza dei magistrati. L’inadeguatezza di tale normativa è una delle condizioni di sistema che nel tempo ha favorito il proliferare delle logiche spartitorie che temo non potranno mai cessare del tutto, fino a che non si risolva in modo soddisfacente il problema di cosa sia realmente il dirigente di un ufficio giudiziario.
Non crede che l’Anm anche sul piano del gradimento paghi il prezzo di una eccessiva esposizione mediatica e di un presunto collateralismo ai partiti di opposizione?
L’Anm si sta preoccupando di salvaguardare in ogni modo la propria immagine di imparzialità. Lo dimostrano le regole per l’adesione al Comitato per il No, così rigide che neanche illustri magistrati come Franco Roberti hanno potuto prendervi parte, solo perché hanno avuto esperienze da parlamentari, ancorché da tempo concluse.
Molti suoi colleghi sostengono che se verrà approvata questa riforma sarà l’ennesimo tassello verso una deriva autoritaria.
Certamente lo Stato sta cambiando pelle attraverso riforme apparentemente scollegate, ma in realtà accomunate dal fine di dare maggiore forza all’esecutivo. Non parlerei però di svolta autoritaria, almeno se intendiamo tale terminologia nel significato suo proprio. Mi preoccupa piuttosto la costante denigrazione della figura del giudice, spesso condotta attraverso l’uso irresponsabile dei social, che ha radici lontane nel tempo e si collega al più ampio processo di progressiva svalutazione del principio di legalità formale.
È in atto una raccolta di 500 mila firme per il No al referendum lanciata da 15 “volenterosi”. Lei ha firmato?
Certo. Non vedo cosa potrebbe impedirmi di esercitare un diritto riconosciutomi dalla Costituzione.