Cesare Placanica, già presidente della Camera penale di Roma. Perché ha scelto di far parte del Comitato Sì riforma presieduto da Nicolò Zanon?
Mi viene da dire, perché no? È la battaglia che, spesso in corsa solitaria, l’unica associazione di cui in vita mia ho mai fatto parte, Ucpi, portava avanti con convinzione già nel lontano 1993, data della mia adesione. Farla ancora, a fianco di illustri giuristi che stimo e apprezzo da tempo, è un privilegio.
Se è vero che è formato da giuristi, è nato comunque nelle stanze di Fratelli d’Italia. E anche Zanon non ha negato che ci sia un “innegabile orientamento politico”. Tutto ok per lei?
Onestamente non so in quali stanze sia nato. Però se c’è un tema in cui l’appartenenza alla destra o alla sinistra è totalmente irrilevante è quello della separazione. Sono basito di questa irrazionale e folle divisione per estrazione politica. E consolato dal fatto che la quasi totalità degli avvocati di sinistra, non a caso sostenitori del Sì, siano anche loro a dir poco irritati di questa assurda strumentalizzazione che li iscrive, di ufficio, alla parte politica che avversano. Peraltro, se dovessi necessariamente dare un’etichetta a questa riforma, la dovrei certamente considerare in qualche modo “di sinistra”, in quanto espressione di una lungo percorso sociale e culturale che impedisce eccessi di autoritarismo a chi detiene un grande potere. Il vero protagonista è il giudice, che con maggiore autonomia ed indipendenza potrà esercitare il suo ruolo di garante del rispetto dei diritti dei cittadini.
Come spiegare ad un semplice cittadino perché votare Sì?
Dicendogli che si tratta di una norma che completa e realizza il dettato costituzionale a cominciare da quanto statuito dall’articolo 111. Spiegando che così si garantisce l’esercizio della giurisdizione da ogni sospetto di condizionamento, con l’esaltazione della figura del giudice, che diventa ancora più terzo ed imparziale come pretende, appunto, la Costituzione, che anche in questo passaggio dovrebbe essere considerata la “più bella del mondo”.
Il professor Gian Luigi Gatta ha detto: “Pensiamo davvero di vivere in un sistema processuale nel quale i giudici non sono terzi e imparziali, tanto da rendere necessaria una riforma costituzionale? Se così fosse sarebbe un’emergenza per lo Stato di diritto, che non mi risulta però rilevata da nessun organismo internazionale”.
Questa è una di quelle semplificazioni, una vera e propria suggestione retorica, che alterano l’essenza del dibattito. Qualcuno pensa che prima dell’introduzione del codice accusatorio si condannassero alla leggera i cittadini innocenti? Certo che no! E però, di fronte ad evidenti criticità di quel sistema, si è pensato di migliorarlo introducendo il rito accusatorio. Oggi nessuno in buona fede può negare gli effetti dello spirito di colleganza tra pm e giudice. Non serve una emergenza democratica per migliorare un meccanismo processuale.
C’è una obiezione dei No che in qualche modo condivide?
Il pericolo che il pm diventi un potentissimo super poliziotto. Ma non la temo perché ho troppa fiducia nella qualità e nello spessore dei giudici italiani. Una volta resi totalmente indipendenti sapranno certamente evitare tale distorsione. È quasi divertente, però, me lo consenta, che chi con toni allarmistici paventa tale pericolo, in totale contraddizione, subito dopo, affermi che la riforma depotenzia i pm. A Roma si dice “fate pace col cervello”: il pericolo è che sia troppo potente o che venga totalmente depotenziato?
La riforma dell’Ucpi del 2017 non prevedeva affatto il sorteggio. E sempre l’Ucpi criticò fortemente la proposta di Bonafede in tal senso. Qual è il suo pensiero in merito?
Istintivamente sono contro il sorteggio. E la ragione è che non tutti i magistrati hanno lo stesso valore. Cosa che, ipocritamente, i sostenitori del No si guardano bene dal dire. Anche perché quelli scarsi fanno la stessa identica carriera di quelli bravi. Accetto il sorteggio però, perché è l’unico mezzo che può recidere la mala pianta del correntismo. I cui effetti sono devastanti. L’attuale sistema getta un’ombra perfino sull’esercizio della giurisdizione. O si vuol pensare - per fare un esempio concreto di cui sono stato testimone - che un cittadino, giudicato da un presidente di sezione eletto dalla corrente che fa capo al pm del suo processo, non abbia diritto a non sentirsi tranquillo?
Non crede ci sia una disparità nel prevedere il sorteggio temperato per i laici e quello puro per i togati? Se il Parlamento eleggesse una rosa di pochissimi nomi da cui sorteggiare è come se li avesse scelti la politica.
Quindi lei equiparerebbe una categoria di persone che hanno vinto un concorso a magistrato ordinario, circa 9.000 individui che quotidianamente vivono in un tribunale e fanno processi con la responsabilità di irrogare anni di carcere, ad una folla di 235.000 avvocati, la maggior parte dei quali lavora nei campi più disparati, senza neppure avere mai visto un processo, né essere mai entrata in un tribunale? La pare un argomento serio? Sarei certamente favorevole ad un sorteggio tra i laici se la scelta, per esempio, riguardasse i circa 9.000 iscritti alla camere penali italiane. Gente che tutti i giorni calca l’aula.
Cosa pensa della campagna comunicativa portata avanti dal Comitato dell’Anm?
Mi spiace dire che su determinati passaggi non mi pare seria. L’indipendenza della magistratura, per esempio, non è in discussione. Se chi ha proposto la riforma avesse voluto perseguire questo obiettivo lo avrebbe fatto. Non voglio essere ipocrita, immagino che qualcuno possa averlo in mente. Ma sa perché non osa neppure manifestarlo? Perché di fronte a tale prospettiva la maggior parte dei sostenitori del Sì, io per primo, si compatterebbe immediatamente al fronte del No. Mi auguro che questo ricorrere ad argomenti fuori focus non sia strumentale ad alterare l’informazione dei cittadini sui veri temi oggetto di referendum.