Nello Rossi, direttore della rivista Questione giustizia, che idea si sta facendo di questa campagna referendaria?
Veramente io vedo in corso non una ma due campagne referendarie. Nella prima, riservata ad una minoranza della popolazione, si discutono i pro e i contro della riforma costituzionale. Nella seconda, invece, vengono agitati temi che con la riforma non vengono neppure affrontati, ma che colpiscono la più vasta opinione pubblica: la lunghezza dei processi (spesso frutto di norme processuali farraginose e contraddittorie) o i casi giudiziari più clamorosi e divisivi, come quello della famiglia nel bosco o Garlasco. Di questa seconda campagna – emotiva, irrazionale e viscerale – è purtroppo protagonista la presidente del Consiglio, con le sue stoccate demagogiche sul caso Garlasco o sul caso dell’Imam torinese Shahin.
Qual è l’argomento dei Sì che più degli altri non condivide?
Più che un argomento è una metafora stanca. Quella dell’arbitro – il giudice - che indossa la stessa maglietta di una delle due squadre in campo – quella dei pm - e perciò parteggia per l’accusa. Metafora ingannevole perché smentita dagli elevati numeri delle assoluzioni e ancor più dalle decisioni dei giudici - difformi dalle richieste dell’accusa - in processi nei quali grandi procure avevano investito molto in termini di immagine e di impegno investigativo. Come i processi “trattativa” a Palermo, Mafia capitale a Roma, Tangenti Eni a Milano e così via. Inoltre, la metafora calcistica è nociva perché mira a minare la fiducia dei cittadini nell’imparzialità dei magistrati su cui si basa la legittimazione e la credibilità della giustizia.
Secondo lei sarà un problema per i No che una fetta di elettorato di sinistra è pronta a votare per il Sì?
Sinora vi sono state rare dichiarazioni di esponenti politici della sinistra favorevoli alla riforma, potentemente amplificate dalla stampa di destra. In quelle prese di posizione vedo una miope sottovalutazione della politica istituzionale della destra. Oggi l’obiettivo è indebolire il potere giudiziario ma, dopo questo antipasto, nel menù è già pronto il piatto forte del “premierato”, con il superamento della Repubblica parlamentare. Non grido al fascismo – per molti aspetti il governo Meloni è compiutamente “afascista” – ma la premier, coerentemente con la sua storia personale, vuole modificare la Costituzione seguendo le orme di Almirante. Che non a caso fu il primo a presentare, nel 1971, una proposta di legge diretta a introdurre il sorteggio per la componente togata del Csm ed a spogliare il Consiglio superiore della giustizia disciplinare.
Lei è stato presidente della corrente Magistratura democratica, segretario dell’Anm e membro del Csm. I sostenitori del Sì sostengono che i pm, quasi sempre a capo delle correnti, decidono le sorti del Csm in perfetto stile correntizio. È così?
Francamente? Con questo tipo di arbitrarie generalizzazioni si fa solo cattiva propaganda. Innanzitutto nel Csm i pm sono sempre stati una minoranza e spesso il Consiglio ha adottato decisioni che non assecondavano gli orientamenti “spontanei” della magistratura requirente. Inoltre, più che i ruoli professionali di provenienza degli eletti, hanno sempre contato le diverse visioni dei problemi della giurisdizione e dell’organizzazione giudiziaria. Quindi la cinghia di trasmissione – pm, correnti, Csm – è solo una fantasiosa invenzione. Piuttosto c’è stata – e non ci sarebbe più in futuro – una responsabilità istituzionale dei gruppi per le scelte compiute nell’attività consiliare. Un solo esempio: se i consiglieri di un gruppo concorrono a nominare un cattivo dirigente di un ufficio, i colleghi ne conservano memoria e smettono di votarlo.
L’avvocato Buccico ha sostenuto che il sorteggio va contro la ragione ma è l’unico rimedio possibile per quanto successo. Che ne pensa?
Spiace che una persona di valore si dichiari pronta a rinunciare al “discernimento” - proprio delle elezioni - per gettarsi ad occhi chiusi nell’avventura del sorteggio, che pure bolla come contrario alla ragione. Non si abbandona la strada maestra della razionalità istituzionale per uno scandalo, per quanto grave esso sia. Ci si rimboccano le maniche, si fa pulizia e si volta pagina. Se non fosse così avremmo dovuto chiudere da tempo il parlamento “eletto” perché toccato da numerosi scandali . Oppure escludere i laici dal Csm perché c’è stato un caso Natoli. Del quale – potenza dei media – tutti si sono rapidamente dimenticati.
Mattarella nel 2020 parlò di “modestia etica” in riferimento allo scandalo dell’Hotel Champagne. Secondo lei il Csm ha superato tutto?
La reazione della magistratura allo scandalo è stata forte: la rimozione di Palamara, le dimissioni di sei membri del Consiglio, numerosi procedimenti disciplinari con pesanti condanne e procedimenti all’interno dell’Anm. I politici coinvolti, invece, non hanno subito conseguenze. Da allora il Csm ha voltato pagina. Non vuole vederlo solo chi ha interesse a rimestare in eterno in quella vicenda per indebolire il giudiziario e le garanzie di indipendenza dei magistrati.
Nel dibattito si parla poco di Alta Corte. Lei è stato componente della sezione disciplinare. Come smentire che la giustizia del governo autonomo non è domestica?
Se lei vuole dire che - essendo “domestica”, come i procedimenti disciplinari di “tutte” le professioni - la giurisdizione disciplinare del Csm è stata sin qui lassista o perdonista, le rispondo che questa vulgata è semplicemente smentita dai numeri delle condanne e delle assoluzioni. Qui non posso citarli per esteso ma tutti possono consultarli nella Relazione del Pg della Cassazione sul sito dell’Ufficio. Le preannuncio inoltre che, a gennaio, Questione Giustizia renderà liberamente disponibili a tutti sul web le statistiche della Sezione disciplinare dell’attuale consiliatura con una presentazione del tutto oggettiva dei dati del Consigliere Roberto Fontana.
Quali le criticità del nuovo organo?
E lei mi fa una domanda così impegnativa alla fine dell’intervista? Con una sintesi brutale le elenco le principali ragioni di critica: il sorteggio (anche) dei giudici disciplinari; l’appello avverso le sentenze dell’Alta Corte affidato alla stessa Alta Corte (sic!); l’irrisolto problema della possibilità del ricorso per Cassazione ex articolo 111 Costituzine avverso le sentenze della Corte disciplinare in grado di appello. È solo un elenco. Ma potrà trovare una analisi critica ragionata dell’intera riforma costituzionale nel libro “Le ragioni del no” scritto a due mani da Armando Spataro e da me, edito da Laterza ed in uscita a gennaio 2026.