L'intervista
Il professore Gatta
Gian Luigi Gatta, Ordinario di Diritto penale all’Università degli Studi di Milano, lei voterà Sì o No?
Mi fa una domanda personale, alla quale rispondo senza però impegnare l’Associazione Italiana dei Professori di Diritto Penale, che al suo interno ha senz’altro opinioni diverse e che non ha preso posizione su un tema estraneo alla propria disciplina. Ebbene, a me sembrano prevalenti le ragioni del No. Si indebolisce il Csm, dividendolo in due, prevedendo un sorteggio secco solo per i togati e privandolo della funzione disciplinare. Questo indebolimento dell’organo di governo della magistratura è preoccupante perché non possiamo votare al referendum astraendo dal contesto politico in cui viviamo. Soffia, a livello globale, un vento avverso alla magistratura, alla sua indipendenza e ai controlli del contro-potere giudiziario sulla politica. Pur con tutti i suoi difetti – carrierismo correntista di taluni, in testa – la magistratura non deve essere indebolita, per il bene dello Stato di diritto e dei principi costituzionali, a partire dall’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Quando nella cabina elettorale avrò la matita in mano, farò fatica a non ripensare alle inaccettabili campagne di delegittimazione della magistratura di questi mesi e a quando, in una intervista al Corriere, il Ministro Nordio ha dichiarato che la sua riforma serve a evitare “invasioni di campo” della magistratura e “a recuperare alla politica il suo primato”, evitando indagini e accuse nei confronti di esponenti del Governo. Non mi sento di approvare una riforma costituzionale che, parole del Ministro, “gioverebbe anche”ai rappresentanti dell’opposizione, “nel momento in cui andassero al governo”.
Non le sembra che qualcosa stoni anche solo esteticamente nel vedere che chi accusa e chi giudica non solo è nello stesso sindacato ma anche nello stesso organo di amministrazione?
Se dovesse vincere il Sì giudici e pm resterebbero comunque nelle stesse associazioni – Anm e correnti –, continuerebbero a ricevere lo stesso stipendio dalla stessa amministrazione e ad avere l’ufficio negli stessi palazzi dei giudici. Le rispettive funzioni non cambierebbero di una virgola. La disposizione dei banchi nell’aula d’udienza resterebbe la stessa. Non vedo una riforma epocale.
Il presidente dell’Ucpi Francesco Petrelli in un recente dibattito svoltosi al Dubbio ha detto: «A prescindere dalla fisionomia che assumerà il pm avremo un giudice più forte. Un pm cultore della preda avrà dinanzi un giudice cultore delle regole della caccia». Lei che pensa?
Molti colleghi avvocati sono convinti che la riforma rafforzi il giudice, distanziandolo dal pm. E sono disposti, per questo, a pagare il prezzo di un pm rinvigorito. Faccio però davvero fatica a credere che questa riforma possa riuscire in un simile intento limitandosi a separare i Csm. Davvero questo o quel giudice, che spesso è disinteressato alla carriera (non ha fatto domanda per un incarico), è oggi condizionato nelle sue decisioni perché 7 su 33 componenti del Csm sono pm?
Per i riformisti fare la riforma significa attuare il 111 della Costituzione secondo il quale il giudice deve essere terzo e imparziale. E si badi bene, dice Valerio Spigarelli, «terzo ed imparziale sono due cose diverse».
Fermi tutti: pensiamo davvero di vivere in un sistema processuale nel quale i giudici non sono terzi e imparziali, tanto da rendere necessaria una riforma costituzionale? Se così fosse sarebbe un’emergenza per lo Stato di diritto, che non mi risulta però rilevata da nessun organismo internazionale.
Il professor Giovanni Guzzetta ha detto: il sorteggio è legittimo perché il Csm non è un organo di rappresentanza politica.
Un Csm nel quale i magistrati sono sorteggiati in una platea indefinita, potenzialmente di diecimila persone, e i laici sono invece scelti dalla politica con un sorteggio in una rosa che potrebbe essere molto ristretta, formata dal Parlamento senza una maggioranza qualificata, può diventare, a me pare, un organo in cui è ben rappresentata solo la maggioranza politica. Questo mi preoccupa.
Si critica molto la riforma perché verrebbe meno l’in - dipendenza del giudice. Ma perché? Ce lo può spiegare in maniera semplice?
Perché, se sulle carriere dei magistrati si fa pesare di più la politica, attraverso il diverso meccanismo del sorteggio per laici e togati - che è il cuore della riforma -, ne risente l’indipendenza dalla politica. Se i laici peseranno di più per la nomina del prossimo procuratore di Roma, ad esempio, è probabile che ci saranno in futuro meno inchieste su esponenti del Governo, proprio come preconizzato nell’intervista del Ministro.
Altri temono la cosiddetta nascita di una Prokuratura che farebbe il bello e il cattivo tempo con le garanzie degli indagati. Ma non era stata proprio la riforma Cartabia ad introdurre i criteri di priorità nell’azione penale?
Un Csm inquirente rafforzerebbe le Procure, isolandole come nuovo potere dello Stato: sarebbe una eterogenesi dei fini, una beffa per gli avvocati. Altro che parità delle armi! Quanto poi ai criteri di priorità, la riforma Cartabia aveva cercato di depotenziare le procure affidandoli al Parlamento. Sono però passati oltre tre anni e stiamo ancora aspettando una legge con i criteri.
In queste settimane da parte dei sostenitori del “Sì” si ripete che non avremo più casi Tortora e Garlasco. Secondo lei è così?
Assolutamente no. Come possono la divisione in due del Csm e l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare evitare errori giudiziari?
Sostenere che la riforma non risolve gli altri problemi della giustizia non significa fare del benaltrismo?
Si, se fosse l’unico argomento per il No. Ma in realtà è un modo per mettere sull’avviso gli elettori: non illudetevi che un vostro Si risolva i veri problemi della giustizia, come la lungaggine dei processi.