«Fare il politico è pericoloso. Molto pericoloso. Bisogna stare particolarmente attenti, soprattutto se uno è di centrodestra e si trova sotto il tiro di certe procure. Purtroppo la realtà è questa ed è inutile nascondersi dietro un dito».
Mario Mantovani, ex vicepresidente della Regione Lombardia ed ex assessore alla Sanità per Forza Italia, è stato assolto lunedì scorso dalla Corte d’appello di Milano “per non aver commesso il fatto” dall’accusa di concussione e corruzione. Arrestato ad ottobre del 2015, trascorse un mese e mezzo a San Vittore. In primo grado nel 2019 era stato condannato a cinque anni e mezzo di carcere.
Secondo il pm milanese Giovanni Polizzi che aveva condotto le indagini insieme al luogotenente della Guardia di finanza Raffaele Stabilito, Mantovani era “a capo” di un “sistema di favori” e gestiva un “groviglio di interessi pubblici e privati che si concentrava nella sua figura, un sistema gestito anche dal suo entourage e dalle sue persone di fiducia”. Un “faraone” secondo i detrattori. Nonostante l’assoluzione con formula piena, Mantovani, che in passato è stato anche senatore ed europarlamentare, oltreché coordinatore regionale degli azzurri, non riesce però ad essere felice.
Sinceramente no. È stato un calvario durato sette anni. Le prove della mia innocenza c’erano già allora. L’indagine iniziò quando lei era senatore.
Il gip firmò la richiesta di custodia cautelare dopo 14 mesi, con continue pressioni da parte della Guardia di finanza che voleva fossi assolutamente arrestato. Se le pare normale.
Certo. Come il mio arresto, avvenuto in diretta televisiva. Quando vennero a prendermi i finanzieri con loro c’erano anche i giornalisti. E non li avevo certo avvisati io o mia moglie.
Se lo dice lei.
Un teorema senza alcun riscontro.
Guardi, non oso nemmeno immaginare quanto possano essere costate. Dico solo che oltre al classico ricorso alle intercettazioni telefoniche, i finanzieri dotarono le loro auto sotto copertura con cui mi pedinavano tutti i giorni di microfoni spia e telecamere ad infrarossi, inserite nei fari, per non perdere nemmeno un mio labiale. Queste dotazioni tecnologiche degne dei migliori film di James Bond e pagate, sottolineo, con i soldi dei contribuenti, registrano anche un incontro ad Arcore dell'allora comandante generale dei carabinieri del Nord Italia Vincenzo Giuliani che avevo accompagnato in visita da Berlusconi per un saluto. Sulla bobina del filmato, prodotta nel corso del processo, vi era invece scritto di “interesse investigativo”.
Anomalie? Falsi. Tutti dimostrabili e messi nero su bianco.
Per quello che accade nella Procura di Milano è sufficiente leggere le cronache dei giornali.
Sì, due volte. Mai risposto. Adesso che è stato rieletto e che sembra avere a cuore la giustizia mi aspetto più attenzione.
Non è stato facile. Mi metto nei panni di chi, anche se innocente, decide di patteggiare. Per affrontare un simile processo, oltre alla forza di resistere, servono ingenti risorse economiche che non tutti hanno e che nessuno, una volta assolto, ti ridarà indietro.
È fondamentale! Non si possono mettere in cella gli innocenti. E chi ha fatto un simile errore non può continuare a fare carriera come se nulla fosse.