Giulio Sapelli, economista di lungo corso, spiega perché «in un mondo globalizzato, essenzialmente interconnesso, le sanzioni non sono più possibili», convinto che «se avessimo ancora la Snam non saremmo così dipendenti dalla Russia» ed è scettico su un possibile dietrofront di Putin: «l’Ucraina si salva solo con la resistenza del popolo ucraino e ora serve una crescita del sentimento democratico in Russia».
È quasi ridicolo che dalle sanzioni contro Mosca sia stata esclusa l’energia. L’unica sanzione che poteva avere un elemento disgregativo nel piano diabolico di Putin era proprio un intervento mirato sull’energia, ma questo non può essere fatto. In un mondo globalizzato, essenzialmente interconnesso, le sanzioni non sono più possibili. La globalizzazione si fonda sulla interscambiabilità, tanto che se c’è una cosa che continua a funzionare anche durante la guerra sono gli scambi energetici. Farli continuare è interesse sia di colui che vende che di colui che acquista. Il mondo che crede nell’impostazione basata sul mercato non può aspettarsi uno scenario come quello attuale.
A oggi, se ci mancassero i 40 miliardi di tonnellate di gas che arrivano dalla Russia non potremmo sostituirli né con il carbone, né con le biomasse o con altro. Non a caso gli Stati Uniti hanno inventato le sanzioni in politica internazionale, che non sono mai esistite. Perché sono un impero, non territoriale ma economico, e dunque sono autosufficienti. Per noi, invece, il gas russo è fondamentale.
Per vincere le guerre bisogna fare la guerra. Bisogna perdere sangue, uomini, uccidere ed essere uccisi. È terribile, per uno che ama la pace come me, ma questa è la realtà. Invece molti paesi hanno abolito il servizio militare e delegato la morte a dei corpi specializzati di mercenari. Pensa che oggi questi paesi sarebbero pronti a entrare in guerra? La parola mercenario una volta era negativa, oggi è propositiva perché gli stati ne approfittano e li comprano.
La Russia si sta trasformando in un’autocrazia piena. Quel che mi preoccupa è che il modello Xi Jinping ha vinto. Ho paura che questo diffonda tra i giovani il fatto che per affermare i propri obiettivi bisogna fare la guerra. Ma solo un dittatore come Putin può pensare una cosa del genere.
Draghi ha rimproverato se stesso. Si fa forza del fatto che l’Italia è un paese senza memoria ma tutto questo inizia dalla privatizzazione delle fonti energetiche. Se avessimo ancora la Snam non saremmo così dipendenti dalla Russia. Draghi o non sa cosa dice o non sa cosa ha fatto lui. Sul “Britannia” c’era lui, non altri.
Certo che adesso andrebbero riaperte. Basta metterci un filtro che impedisce al carbone di diventare tossico, in Australia lo fanno da anni. Il problema è farlo capire ai suoi alleati di governo che ragionano col fanatismo. A me interessa che quando qualcuno entra in sala operatoria non si stacchi la corrente. Se pensiamo di illuminare e riscaldare soltanto con il vento e con il sole siamo dei cretini. Abbiamo le tecnologie per rendere le energie fossili, che ci accompagneranno sempre, non nocive.
Putin purtroppo si ferma solo con la rivolta del popolo russo, degli operai, della classe media contro di lui. Non si ferma dall’alto o da fuori ma dall’interno. Serve una crescita del sentimento democratico in Russia. Sono convinto che l’anima russa sia profonda. Putin è un dittatore e spero nella buona volontà degli operai e dei cittadini russi. Io ho conosciuto Sacharov, l’ho abbracciato. E ora la sua utopia deve diventare realtà.
Vede, noi italiano lo sappiamo bene. Ci siamo liberati dal fascismo anche grazie all’intervento de- gli Stati Uniti e della Russia, è vero, ma soprattutto con la lotta partigiana sulle nostre colline e sui nostri monti. L’Ucraina si salva solo con la resistenza del popolo ucraino. Per questo oggi dico viva l’Ucraina libera.
Ho lavorato tanti anni, da direttore della fondazione Feltrinelli, per aiutare Solidarnosc. È quella la via che devono seguire gli ucraini. Cittadini ucraini, imitate Solidarnosc. Non è ancora troppo tardi, le dittature si possono sempre sconfiggere. Basta seguire l’esempio di Giovanni Paolo II.