Martedì 23 Dicembre 2025

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Il mio miglior nemico. La relazione speciale tra Putin e Macron

Il presidente francese è il leader europeo più intransigente con Mosca, ma anche l’unico capace di avere un dialogo diretto con il capo del Cremlino

23 Dicembre 2025, 10:23

Putin Macron

Quando nel maggio 2017 Emmanuel Macron conquista l’Eliseo, Vladimir Putin è il primo leader straniero a essere ricevuto in Francia. La cornice è suggestiva: lo sfarzo della reggia di Versailles per celebrare i trecento anni della visita di Pietro il Grande a Parigi. Già allora, però, emergono le frizioni. Durante la conferenza stampa, il presidente francese accenna ai media Russia Today e Sputnik accusandoli di aver diffuso menzogne durante la campagna elettorale. Putin incassa, ma il tono è dato.

Tra i due capi di Stato corre uno strano feeling, forse accomunati dalla freddezza del carattere (più pedante il francese, più sprezzante il russo) e da un condivisa dottrina della forza. Da lì in poi questa relazione speciale procede per scosse successive. Nel 2018 i due si rivedono a San Pietroburgo, al Forum economico internazionale: sorrisi di rito, dichiarazioni caute, già allora Macron riconosce la grande differenza di visioni e interessi tra Mosca e l’Europa ma insiste sulla necessità di non isolare la Russia in una logica di accerchiamento, Putin apprezza ma ribadisce la propria concezione sovranista delle relazioni internazionali e la volontà di rafforzare i rapporti con la Cina. È un dialogo che non produce risultati concreti, ma che alimenta l’idea — soprattutto a Parigi — che parlare resti preferibile alla guerra fredda diplomatica.

Il momento di massimo avvicinamento arriva nell’estate del 2019, quando Macron invita Putin a Brégançon, nella residenza presidenziale affacciata sul Mediterraneo. Qui il presidente francese azzarda una mossa più ampia: propone di ripensare l’architettura di sicurezza europea, di reinserire la Russia in un orizzonte strategico comune, evitando che Mosca si abbandoni definitivamente all’abbraccio di Pechino. E lo fa citando il generale de Gaulle con la sua idea di un’ Europa «che vada da Lisbona a Vladivostock». L’ultimo grande tentativo di normalizzare i rapporti con il Cremlino è una scommessa politica perduta.

La repressione interna in Russia, il caso Navalny, la guerra in Siria il conflitto strisciante in Donbass rendono sempre più utopica l’idea di una normalizzazione. Con l’invasione militare dell’Ucraina, nel febbraio 2022, il rapporto entra in una fase drammatica. Nonostante tutto e fino al ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca Macron è il solo leader occidentale a mantenere un contatto diretto e regolare con Putin. Le sue telefonate — spesso lunghe, sempre riservate — vengono lette in modi opposti: per alcuni sono un tentativo necessario di evitare l’escalation; per altri una concessione inutile a un interlocutore che non cerca compromessi.

Parallelamente, il presidente francese assume un ruolo sempre più centrale nel sostegno a Kiev. La Francia rafforza l’assistenza militare, sostiene l’Ucraina sul piano politico e diplomatico, spinge per una maggiore autonomia strategica europea. Macron diventa, nei fatti, uno degli alfieri continentali della difesa di Kiev, senza mai attenuare la condanna dell’aggressione russa né mettere in discussione l’integrità territoriale ucraina. Il dialogo con Putin si interrompe bruscamente ma non si spezza, come un binario morto che continua a esistere per evitare il deragliamento totale. Parigi sembra aver rinuncia a qualsiasi contatto diretto con la Russia, Macron più volte sottolinea che non c’è nulla di concreto da negoziare, cosciente che Putin non concederà nulla e che fermerà la guerra solo di fronte alla resa di Kiev. Anche perché nel frattempo alla Casa Bianca è ritornato Donald Trump che ribalta la linea dell’amministrazione Biden, offrendo all’amico Vladimir le condizioni ideali per cucinare a fuoco lento l’Ucraina di Zelensky e umiliare i governi europei.

Il 1° luglio 2025 dopo quasi tre anni di silenzio diretto, Emmanuel Macron e Vladimir Putin tornano a però parlarsi al telefono in un colloquio lungo, oltre due ore, che entrambe le parti definiscono «sostanziale». Nei fatti, è un confronto senza convergenze. Macron ribadisce il sostegno «incrollabile» della Francia all’integrità territoriale dell’Ucraina e chiede un cessate il fuoco immediato come condizione per qualsiasi negoziato. Putin risponde riproponendo la narrativa russa: la guerra non è che la conseguenza delle responsabilità occidentali, dell’allargamento a est della Nato e invita il francese ad accettare le «nuove realtà territoriali», ovvero il Donbass e la Crimea. Al termine della conversazione, l’Eliseo ammette che non ci sono stati progressi concreti. Ma il canale diretto si è finalmente riaperto.

Così dal Cremlino filtra la disponibilità a un nuovo colloquio tra i due presidenti, un segnale che arriva dopo la “mano tesa” di Macron al Consiglio europeo, quando ha ricordato che Putin continua a parlare con diversi interlocutori e che lasciare ad altri — gli Usa di Trump o altri mediatori esterni — il monopolio del dialogo con Mosca non è necessariamente nell’interesse degli europei. Nessuna svolta è annunciata, nessuna agenda è sul tavolo e la distanza rimane incolmabile. L’Eliseo registra l’apertura spiegando che ogni ipotesi di compromesso potrà avvenire solo nel quadro del rispetto della sovranità ucraina e senza alcun riconoscimento delle conquiste territoriali russe. Da Mosca, la linea è invariata: si può parlare, ma le conquiste militari sono acquisite. È la stessa condizione posta da anni, ripetuta come un mantra e che nulla sembra scalfire. Neanche la tenacia del “miglior nemico” Emmanuel Macron.