Giorgia Meloni in Aula
Il cosiddetto decreto Flussi, nella parte in cui ha privato le sezioni Immigrazione dei Tribunali civili della facoltà di decidere sulla convalida del trattenimento dello straniero richiedente la protezione internazionale, demandando tutto alle Corti d’appello, non è incostituzionale.
Lo ha reso noto due giorni fa un comunicato della Consulta (Redattrice: Maria Rosaria San Giorgio) che ha ritenuto non fondate le questioni sollevate dalla Corte di Appello di Lecce in otto diverse ordinanze in cui sostanzialmente si indicavano quattro criticità: compressione del diritto alla difesa, mancanza del requisito della omogeneità, mancanza di specializzazione del giudicante su un tema così complesso, possibile violazione dell’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza.
La questione aveva tenuto banco nell'autunno del 2024 dando vita ad un fortissimo scontro tra politica e magistratura. Dopo, infatti, che alcuni provvedimenti delle sezioni specializzate Immigrazione non avevano convalidato i trattenimenti di migranti nei centri allestiti in Albania, la maggioranza parlamentare, Fratelli d’Italia e Lega in primis, avevano fortemente spinto per una modifica della norma, arrivando quindi a depotenziare l’attività dei giudici specializzati in immigrazione.
Mentre sullo sfondo si udivano accuse del tipo «magistrati comunisti», «anti-italiani». Da lì la rivolta dell’Anm e persino una lettera dei ventisei presidenti delle Corti di Appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella in cui chiedevano di scongiurare il «disastro annunciato», e i «gravi esiti» sul lavoro degli uffici giudiziari, del decreto Flussi. Ma la legge passò e così qualche mese dopo la Corte di Appello di Lecce ha sollevato diversi dubbi di legittimità costituzionale. Ma la Corte Costituzionale ha dato ragione al legislatore.
La Consulta ha, anzitutto, escluso la violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., osservando che «l’omogeneità tra le disposizioni introdotte in sede di conversione in legge, oggetto di censura», e quelle «del decreto-legge originario va individuata nella materia della gestione dei flussi migratori e della protezione internazionale». La Corte ha, poi, ritenuto insussistente la violazione degli articoli 3, 25, 102 Cost. in quanto «le nuove regole di determinazione della competenza a decidere sulla convalida in prima istanza comprendono, dunque, sia i parametri di individuazione del giudice ratione materiae (corte d’appello in composizione monocratica) e ratione loci (corte d’appello nel cui distretto ha sede il questore che ha disposto il trattenimento o la sua proroga), sia un criterio di assegnazione interna delle controversie ai giudici addetti alla trattazione dei procedimenti in materia di MAE».
In particolare i giudici di Piazza del Quirinale hanno osservato che «le controversie in questione sono state attribuite a giudici che, in quanto assegnatari dei procedimenti di esecuzione del MAE e di estradizione, sono muniti di una specializzazione diversa, ma comunque adusi a trattare procedimenti che coinvolgono la libertà personale degli stranieri e che devono essere decisi entro termini stringenti». D’altronde, ha rimarcato la Corte richiamando i suoi precedenti in materia, «il trattenimento della persona straniera, pur non perseguendo finalità punitive, condivide con la detenzione l’effetto pratico della restrizione della persona».
In definitiva, secondo la Corte, «detto spostamento di competenza è originato da una rivalutazione della scelta legislativa di affidare il procedimento di convalida del trattenimento e quello concernente la domanda di protezione internazionale ad un unico ufficio giudiziario, scelta connotata da ampia discrezionalità, trattandosi di materia processuale, e che, non sconfinando nella irragionevolezza manifesta, esula dal sindacato di legittimità costituzionale».
Ciò non esclude, tuttavia, ha precisato la sentenza, «che lo stesso legislatore debba verificare, nel tempo, la tenuta del nuovo assetto di competenze e operare interventi correttivi nel caso in cui esso si riveli foriero di difficoltà applicative».