Lunedì 29 Dicembre 2025

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Fine vita, la Consulta “salva” la legge toscana ma fissa alcuni paletti

La Corte respinge le censure statali sull’intera norma approvata dalla Regione e impugnata dal governo, ma dichiara l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nel testo

29 Dicembre 2025, 20:36

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consulta

A chi spetta la competenza in materia di fine vita, allo Stato o alle Regioni? Il verdetto della Consulta, il più atteso da governo e Parlamento, non è così netto. La sentenza numero 204 depositata oggi dalla Corte Costituzionale, infatti, ha respinto le censure statali sull’intera legge regionale della Toscana - la prima in Italia a dotarsi di una norma in tema di suicidio assistito - ma ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di diverse sue disposizioni. Laddove la legge numero 16 del 2025, approvata lo scorso febbraio e impugnata poco dopo dal governo, non si limiterebbe ad applicare quanto stabilito dalla stessa Consulta con la sentenza 242 del 2019 (la cosiddetta Cappato/Dj Fabo), ma si spingerebbe oltre, cristallizzando condizioni e criteri su cui spetta al Parlamento legiferare. Come sostenuto nell’udienza dello scorso 4 novembre dall’Avvocatura dello Stato, che rivendicava l’esigenza di uniformare la disciplina a livello nazionale. Mentre la Regione Toscana difendeva la propria facoltà di dettare modalità e tempi certi per garantire un diritto, senza crearne uno “nuovo”, nell’inerzia del Parlamento sul tema.

«La Corte - si legge nel comunicato - ha ritenuto che nel suo complesso la legge regionale sia riconducibile all’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute e persegua la finalità di “dettare norme a carattere meramente organizzativo e procedurale, al fine di disciplinare in modo uniforme l’assistenza da parte del servizio sanitario regionale”». Ma, chiarisce la Consulta, «numerose disposizioni» contenute nella norma regionale hanno «illegittimamente invaso sfere di competenza riservate alla legislazione statale».

In particolare, «la Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo 2, che direttamente individua i requisiti per l’accesso al suicidio medicalmente assistito facendo espresso rinvio alle sentenze n. 242 del 2019 e n. 135 del 2024», che invece aveva esteso l’interpretazione dei “trattamenti di sostengo vitale”. Ovvero uno dei quattro criteri sanciti dai giudici per accedere a un percorso di fine vita.

Ma resta «intatto il diritto» del paziente, che abbia già ottenuto il via libera al suicidio assistito, di fare affidamento sul SSN per ciò che riguarda il farmaco letale e la strumentazione, chiarisce la Corte. La quale «ha ritenuto che l’introduzione di una disciplina a carattere organizzativo e procedurale come quella impugnata non possa ritenersi preclusa dalla circostanza che lo Stato non abbia ancora provveduto all’approvazione di una legge che disciplini in modo organico, nell’intero territorio nazionale, l’accesso alla procedura medicalizzata di assistenza al suicidio». Ora la palla passa al Parlamento, che in attesa del verdetto aveva messo in stand by i lavori al Senato sul ddl del centrodestra.