Le motivazioni
FURTI APPARTAMENTO
Con la sentenza numero 193, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 624-bis del codice penale, che disciplina e punisce il reato di furto in abitazione. Le censure erano state sollevate dal Tribunale di Firenze nell’ambito di un procedimento relativo a un furto commesso all’interno dell’androne di un edificio condominiale.
Il giudice rimettente, richiamando la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione – qualificata come “diritto vivente” – aveva ricordato come le parti comuni del condominio siano considerate luoghi di privata dimora. Su questa base, il Tribunale aveva però prospettato un possibile contrasto con i principi di ragionevolezza e offensività sanciti dagli articoli 3 e 25 della Costituzione italiana, osservando che spazi come androni e scale sono frequentati da una pluralità di persone e, quindi, non sarebbero assimilabili al domicilio inteso come proiezione spaziale della vita privata, posta a tutela di riservatezza, sicurezza e incolumità.
In via subordinata, era stata sollevata anche la questione dell’assenza, nell’articolo 624-bis, di un’ipotesi attenuata per i fatti di “lieve entità”. Secondo il Tribunale di Firenze, la mancanza di una riduzione di pena avrebbe determinato una risposta sanzionatoria sproporzionata per eccesso, con effetti negativi anche sulla funzione rieducativa della pena e con una disparità di trattamento rispetto ai reati di rapina ed estorsione, per i quali il legislatore ha invece previsto specifiche attenuanti.
La Consulta ha respinto entrambe le doglianze. Quanto alla prima, ha chiarito che la scelta legislativa di punire più severamente il furto in abitazione è giustificata dalla particolare pericolosità della condotta di chi si introduce in un luogo destinato alla vita privata, esponendo la vittima al rischio di un contatto diretto con l’autore del reato. Tale pericolosità, secondo i giudici costituzionali, sussiste anche quando il furto avvenga in pertinenze immediatamente collegate all’abitazione, destinate allo svolgimento di attività complementari e strumentali a quelle domestiche.
Da qui la legittimità dell’estensione della tutela penale alle parti comuni del condominio, considerate spazi funzionali alla protezione delle singole abitazioni e accessibili solo con il consenso dei condòmini. Sul secondo profilo, la Corte ha ritenuto non irragionevole la mancata previsione di un’ipotesi attenuata, osservando che la violazione del domicilio non ammette graduazioni di intensità. Richiamando la propria sentenza n. 117 del 2021, la Consulta ha ribadito che, a differenza di quanto avviene per rapina ed estorsione, il domicilio “o è violato o non lo è”, risultando logicamente inconcepibile un ingresso “lieve” nell’abitazione altrui.