Di spazio, per le “riforme parallele” della giustizia, non se ne vede più da mesi. Si è dovuto rinunciare persino a provvedimenti “di nicchia” come il ddl Zanettin sul sequestro degli smartphone, finito a galleggiare nel nulla alla Camera dopo l’ok del Senato.
Seppure arrivasse il sì al referendum di marzo sulla separazione delle carriere, sembra difficile che possa farsi strada una grande riforma del processo penale, e in particolare delle misure cautelari. Certo, Carlo Nordio non dispera. Non si rassegna a una legislatura chiusa in anticipo, per la giustizia. Ne ha parlato una settimana fa all’ultimo grande appuntamento nel quale ha preso la parola, il congresso di Nessuno tocchi Caino, ospitato all’interno del “Beccaria”, l’istituto per minorenni di Milano.
All’appuntamento dell’associazione radicale, il guardasigilli si è collegato da remoto, e ha confidato di «mettere mano al processo penale» una volta chiusa «la parentesi del referendum». Ma Nordio non ha potuto sottrarsi a un quesito rivoltogli dall’imprenditore Pietro Cavallotti, ormai una colonna di Nessuno tocchi Caino, e “testimonial” della lunga scia di ingiustizie inflitte agli innocenti all’ombra della prevenzione antimafia: «Mi rivolgo a lei, che per noi è il ministro della speranza, e le chiedo: è giusto confiscare il patrimonio di una persona assolta con sentenza definitiva all’esito di un procedimento come quello di prevenzione che», ha ricordato Cavallotti, «non ha le garanzie del processo penale? Ed è giusto non prevedere alcun indennizzo quando viene restituita al legittimo proprietario un’azienda distrutta nel corso dell’amministrazione giudiziaria?».
Ebbene, il guardasigilli ha ammesso di doversi limitare a ciò che pensa «personalmente», ma è stato netto nel sostenere che «quando vi è una sentenza definitiva di assoluzione, la cosa debba concludersi con la restitutio in integrum di tutto quello che è stato perduto, non soltanto patrimonialmente ma anche moralmente: questo lo scrivevo da magistrato, lo scrivevo da giornalista, e lo dico dal ministro». E poi Nordio è stato ancora più specifico sulle misure di prevenzione: «Io personalmente penso che una sentenza penale con un’assoluzione piena non debba avere alcun tipo di conseguenza negativa nei confronti della persona prosciolta. Aggiungo anche che in un mondo ideale, per quanto sia difficile oggi dal punto di vista finanziario, secondo me la persona prosciolta dovrebbe essere risarcita in tutti i sensi, anche attraverso il rimborso delle spese legali».
Vuol dire che l’intervento per attenuare le assurdità della prevenzione antimafia ha più chance di vedere la luce rispetto ad altri dossier? Non è così scontato. Una possibilità è legata proprio alla vicenda Cavallotti. Nei prossimi mesi potrebbe arrivare la sentenza della Corte europea dei Diritti umani sul ricorso promosso dalla prima generazione della famiglia di imprenditori siciliani. In gioco c’è una contestazione molto semplice: il padre e gli zii di Pietro Cavallotti chiedono la restituzione dei beni che sono stati loro confiscati nonostante l’assoluzione con formula piena ottenuta, nel processo penale vero e proprio, dall’accusa di 416 bis. Inoltre, visto che la gran parte delle aziende di famiglia portate via dallo Stato sono fallite nelle mani degli amministratori giudiziari, e che le stesse abitazioni personali sono state vandalizzate, vista l’incuria in cui lo Stato le ha lasciate, i fratelli Cavallotti reclamano il risarcimento del danno. La Cedu potrebbe decidere davvero a breve: se lo Stato italiano uscisse sconfitto, le conseguenze sarebbero pesanti. In prospettiva, si rischierebbe di dover restituire i beni e, soprattutto, risarcire tutti gli imprenditori, meridionali e non solo, che si sono visti infliggere confische nonostante la loro conclamata innocenza. A fronte di una simile incognita, anticipare gli eventi con una legge che definisca il danno esigibile sarebbe, per il governo, un atto di prudenza.
È questa la leva su cui, in linea teorica, potrebbe agire Nordio. Difficile dire se già in questa legislatura o magari nella prossima. Finora governo e maggioranza di centrodestra hanno esibito, sulla materia, molte resistenze. Sono andati a vuoto tutti i tentativi compiuti fin qui da Forza Italia di incardinare le proprie proposte di riforma. Pesa la posizione di Alfredo Mantovano, a sua volta magistrato antimafia e anima del Centro studi Rosario Livatino. Il sottosegretario alla Presidenza è, oltretutto, in forte sintonia con l’attuale capo della Dna Gianni Melillo.
Melillo è tendenzialmente sfavorevole alle modifiche reclamate da Cavallotti a Milano. Il procuratore nazionale è l’avanguardia di un fronte che vede allineati e coperti i capi di tutte le direzioni distrettuali Antimafia. Ma Melillo è anche un magistrato abituato a valutare le questioni alla luce della complessità politica: è stato capo di Gabinetto di Andrea Orlando a via Areula, ha contribuito fra l’altro alla convocazione degli Stati generali sull’esecuzione penale, conosce dunque l’“anima” di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini, oggi presidente dell’associazione che vede Sergio D’Elia segretario e Elisabetta Zamparutti tesoriera. È questo il perimetro entro cui potrebbe farsi strada la legge ipotizzata da Nordio nel collegamento con il “Beccaria”.
Una mission impossible? Magari è il classico terreno su cui potrebbe esercitarsi la realpolitik. Molto dipenderà anche dall’esito del referendum sulle carriere separate. Dall’investitura e dal mandato fiduciario che gli elettori consegneranno a Giorgia Meloni e al suo governo sulla giustizia. Fra meno di tre mesi, il responso. Che ci dirà se, con la lunga stagione dell’egemonia giudiziaria, andrà in archivio anche la barbarie della legge italiana sulle confische agli innocenti.